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Cardito

CARDITO, Consiglio Comunale sul PUC. Cirillo “E’ stato sempre il mio obiettivo”

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CARDITO – Lo avevo anticipato in un editoriale a mia firma. Non ha nessun problema il primo cittadino a discutere sul PUC, fornire indirizzi e altre menate varie. Cirillo non sa più in che salsa lo deve dire. A costo di badare alla trasparenza, sta cominciando a sbiadirsi, a furia di dire sempre le stesse cose sta diventando pallido tendente al trasparente. Eppure ci sono consiglieri e addetti ai lavori che continuano a far finta di non capire e continuano ad alimentarie dubbi e incertezze sia sulla genuinità del lavoro fatto da Cirillo che sulla sua moralità.

Siamo stati i primi a parlare di “Lavinaio”, di cemento, di lottizzazioni e di mal di pancia di alcuni consiglieri legati a questi “valori”, siamo stati quelli che hanno scoperchiato le carte e fatto sapere ai carditesi perché la maggioranza stesse combattendo questa guerra fredda forse all’insaputa pure del primo cittadino. Abbiamo giustificato la scelta degli incontri bilaterali, perché è giusto che un sindaco da buon padre di famiglia deve sapere da dove partono i malumori e sempre da buon padre di famiglia, Cirillo ha preferito parlarne a casa, a tavola, in famiglia. Ma a quanto pare neanche questo è bastato che subito qualche prezzolato, legato alla casta del cemento, tenta di estrapolare da un intero consiglio comunale ciò che gli fa più comodo o ciò che fa più comodo a colui che in questo preciso momento non gli resta altro da fare che mettere mano al portafogli affinché le sue tesi siano diffuse solo ed esclusivamente – per demerito del mezzo e no del committente – tra gli addetti ai lavori. Ma veniamo i fatti.

Le danze sul PUC si aprono con la solita arringa del buon avvocato Francesco Pisano, che in quanto a passione è conosciuto nell’ambiente politico carditese. Non ci si deve meravigliare e certamente non si meravigliano chi di politica ne mastica da diversi anni se in un consiglio comunale volano parole pesanti. A meno che aggiungere peso a quelle parole non fa comodo sempre allo stesso committente. Il consigliere Pisano, ha alluso a una qualche fantomatica “associazione a delinquere” presente in maggioranza, una piovra che ha tentacoli lunghi fino alle politiche sociali e che passano per l’urbanistica. Ma, ripeto, conosciamo anche il fervore che ci mette lo stesso Pisano quando tenta di illustrare le sue idee. Non vogliamo pensare che un avvocato dedito alla denuncia – testimoniano per lui le innumerevoli querele fatte alla Magistratura e all’ANAC – qualora avesse davvero avuto le prove di ciò che oggi ha affermato in Assise pubblica non si sia recato subito nelle sedi opportune. Al contrario, invece, se si vuole sposare la tesi di chi vuole cavalcare la veridicità delle parole di Pisano, allora costui cominciasse a domandarsi come mai lo stesso avvocato non ha scritto subito alla Magistratura e come mai abbia smesso di scrivere frequentemente agli organi sovracomunali, ma soprattutto: da quando. Ecco, se proprio si vuole raccontare la verità, si racconti anche come si sono abbassati i toni quando il consigliere Giovanni Aprovidolo ha minimizzato le parole di Francesco Pisano, forse perché nella sua moderazione, il consigliere di “A Viso Aperto” è l’unico a capire cosa induce Pisano ad esprimersi con tanta passione.

Legittimo, invece, è il pensiero di Marco Mazza sposato da Andrea Russo, sulla questione dimissioni qualora la giunta, compreso il sindaco, arrivasse al punto da farsi commissariare dalla Città Metropolitana in merito ai PUA del “Lavinaio”. Legittimo è anche l’esprimersi con qualsiasi mezzo (facebook ndr) lo consente la nostra Costituzione e il tentativo di censura di Aprovidolo è stato del tutto fuori luogo. Quindi tutto legittimo per carità, ma solo perché sia Mazza che Russo non sapevano – e su questo ci ha pensato il sindaco ad informarli – che la giunta già si è mossa in questo senso, inviando a chi di dovere (Città Metropolitana e Corte dei Conti ndr) tutta la documentazione inerente la bocciatura del 2012, la sentenza del TAR e l’ingiudicabilità del Consiglio di Stato, oltre che l’ulteriore conferma della mancanza degli standard abitativi per quella zona.

Archiviata la questione “Lavinaio” o almeno ce lo auguriamo, sempre che non uscirà fuori qualche altra strumentalizzazione, il sindaco Cirillo ha tenuto a precisare anche il suo pensiero circa il PUC. Le sue parole sono semplici e contestualmente lapidarie. Esordisce dicendo che si sarebbe aspettato che in quell’Assise si fosse parlato solo di PUC e non di reminiscenze di altre vite. Dopodiché spiazza tutti, invitando tutti i consiglieri a formulare delle proposte di indirizzo per arricchire quello che finora è stato fatto. Addirittura il primo cittadino osa una provocazione affermando che è pronto a delegare il PUC a tutti i consiglieri affinché questa manovra venga fatta, visto che è sempre stato il suo primo obiettivo. Nel corso del suo intervento, in verità, Cirillo dice un’altra cosa fondamentale e nobile allo stesso momento. Egli pone l’accento sul fatto di essere sindaco di una maggioranza abbastanza forte che può fare a meno anche di tre o quattro elementi ma in realtà quest’affermazione non è altro che la premessa all’invito fatto poi alla minoranza, perché conclude il periodo dicendo: “Mi meraviglierei se una maggioranza così folta, perdesse pezzi sul PUC piuttosto che inglobare anche gli unici due consiglieri di minoranza”.

In poche parole col suo intervento Cirillo, ha “sfidato” i consiglieri tutti, fedelissimi e strumentalizzatori, a farsi avanti, ad essere concreti, a formulare indirizzi sul PUC o denunciare magagne se ne hanno le prove. Lui è disposto a tutto. E qui viene in mente una frase tratta da un brano di Fabrizio De Andrè: “Qui chi non terrorizza, si ammala di terrore, c’è chi aspetta la pioggia, per non piangere da solo, io sono d’un altro avviso. Son bombarolo”. E logicamente oggi Cirillo ha fatto la differenza.

Il Consiglio si è concluso, su invito di Cirillo, con la sospensione dei lavori per accogliere la mozione presentata da Francesco Pisano e migliorarla in sede di commissione, così come Democrazia vuole.

Afragola

Stupri, violenze e omicidi. Facile fare il prete anticamorra con la legge che li obbliga a non denunciare

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Facile fare il prete di periferia negli addensamenti di povertà a nord di Napoli. Basta avere l’ambizione di andare a colmare un vuoto lasciato dalla politica e dalle istituzioni con l’aiuto della fede e della toga e un po’ di predisposizione all’egocentrismo. Aspettare che un tragico evento si verifichi e attendere, inesorabilmente, lo stuolo di colleghi giornalisti che, non sapendo chi intervistare, dato che a queste latitudini la politica è sempre assente per autoimplosione, si rivolgono al personaggio più populista e demagogo rimasto sul territorio.

Allora la riflessione che voglio fare oggi, così come esposta ai tempi dei fatti che riguardarono l’omicidio di Fortuna Loffredo è: la Chiesa che da secoli cerca di colmare i vuoti creati dalla cecità dei governatori sarebbe in grado di aiutare, fattivamente, le vittime di questi efferati delitti?

Tutti noi sappiamo che secondo l’art. 200 c.p.p. la legge italiana rispetta il segreto confessionale tanto che stabilisce che: il sacerdote a cui è stato confessato un reato NON può essere obbligato a essere chiamato come testimone in un processo. Al contrario, come recita l’art. 622 c.p., violare il segreto confessionale potrebbe costituire reato: il sacerdote che dovesse violare il segreto confessionale per un qualsiasi motivo NON previsto dalla legge, rischia la reclusione fino a 1 anno e una multa che può variare tre le € 30 e le € 516.

D’altro canto, invece, è pur vero che la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6912 del 14 gennaio 2017 ha chiarito che il sacerdote che NON DEVE violare il segreto confessionale è tenuto a collaborare con la giustizia. Il segreto confessionale cade nel momento in cui il fedele confessa di essere, ad esempio, stata vittima di violenza. Il sacerdote che, in sede di processo, si rifiuta di testimoniare o mente durante la deposizione rischia la reclusione fino a 6 anni per il reato di falsa testimonianza.

La differenza sta proprio qui! Se a confessare il reato è chi commette il reato? Allora vale la prima ipotesi, ossia, il prete è tenuto a non denunciare ciò che gli è stato riferito in confessione. Ma questo principio ecclesiastico, condiviso anche dalle norme laiche della nostra Costituzione, in verità, quanta carità cristiana serba in sé?

Facendo un’opportuna riflessione sociologica, da anni il tema della religiosità dei mafiosi, o dei criminali in generale, apre lo scenario a molteplici piani di analisi: da una parte, occorre chiedersi che significato assumono le devozioni e le ritualità religiose e che ruolo svolga il ricorso alla fede all’interno di certi contesti, dall’altra è indispensabile valutare le posizioni che la Chiesa ha progressivamente espresso nella storia. Lo studio delle organizzazioni mafiose lascia emergere il dato piuttosto singolare di una religione che diventa strumento di legittimazione, offrendo motivazioni agli atti criminosi, alleviando le paure e le angosce nutrite dagli affiliati per il proprio destino personale. Ed è per questi motivi che si può benissimo pensare che anche un reato come lo stupro può facilmente essere confessato ad un protettore di anime.

Allora la domanda sorge spontanea: a quali responsabilità la Chiesa espone un prete di periferia, pastore di un addensamento di povertà come quella del Parco Verde? Quale peso deve sopportare un prete anticamorra se tali principi lo devono, per forza maggiore, relegare alla figura di un inerme testimonial della lotta? Ma soprattutto come si sentirebbe l’uomo che alberga sotto la toga a sapere di essere stato costretto a non evitare tale scempio?

Allora l’ultima osservazione che vorrei fare è quella del ruolo della Chiesa nella società moderna. Forse, dico forse, con tutta la modestia possibile, sarebbe il caso di far scendere realmente in trincea chi, almeno a parole, dichiara di voler salvare la vita alla povera gente su questo umile pianeta e far sì che chi sappia denunci immediatamente.

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Caivano

Colpite delle auto di una concessionaria durante una sparatoria a Cardito

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Ieri notte alle ore 2:20 circa a Cardito, i carabinieri di Caivano sono intervenuti a via I Maggio angolo via della Repubblica per una segnalazione di colpi d’arma da fuoco. Alcuni colpi di arma da fuoco sono stati sparati verso 4 auto che erano all’interno di un concessionario, 7 i fori causati. Sono in corso le indagini della vicenda.

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Cardito

CARDITO. L’uscita dei quattro di FI dalla maggioranza era un processo che andava consumato

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CARDITO – Questione di tempo! Questa è la sintesi giusta che si possa fare a chi da tempo cerca di strumentalizzare attaccando con pochi e futili argomenti l’Amministrazione Cirillo sull’obbrobrio politico che si stava consumando in maggioranza, facendo registrare contestualmente due partiti che ideologicamente e storicamente sono sempre stati agli antipodi, ossia PD e Forza Italia.

La stortura ovviamente non è nata dalla volontà del Sindaco Cirillo ma dalle scelte politiche, seppur legittime, di quattro consiglieri comunali che eletti in diverse liste civiche di sinistra che appoggiavano la candidatura del Sindaco Cirillo, scelgono un altro percorso politico, tradendo di fatto l’elettorato, andandosi a rifugiare sotto l’effige azzurra del partito di Silvio Berlusconi. Ma questa oramai è storia nota all’ombra di Palazzo Mastrilli. Veniamo adesso ai giorni nostri.

Ai quanti volevano strumentalizzare sulla coesistenza in maggioranza dei due partiti PD-FI si può solo rispondere che bisognava che maturassero i processi. La scissione è arrivata in maniera fisiologica, un po’ come avviene all’Università con la selezione naturale di chi porta al termine il proprio percorso di studi, così i quattro consiglieri Giovanni Aprovidolo, Orlando De Simone, Giuseppe Mirone e Andrea Russo hanno scelto il modo e il momento più sbagliato possibile per comunicare alla città la loro volontà di passare all’opposizione e di non condividere più le scelte dell’Amministrazione.

Le motivazioni che danno nel documento redatto e pubblicato ieri a mezzo social – contestualmente all’evento della Festa della Liberazione che l’Amministrazione stava svolgendo all’interno di un altro evento riuscitissimo sul territorio della quattro giorni della 29^ edizione della Sagra delle Fragole e degli Asparagi e dell’avvio della promozione social dell’evento del concerto del primo maggio che vedrà come special guest la band musicale “The Kolors” quando si è registrato, forse, l’apice più alto della popolarità del Sindaco Cirillo e della sua Amministrazione – lasciano il tempo che trovano apparendo come degli stucchevoli e futili tentativi di destabilizzazione atti solo a creare un peso, che nei fatti, i quattro hanno dimostrato di non possedere e passo subito all’illustrazione dei fatti.

I quattro consiglieri nella missiva scrivono che i due assessori Michele Fusco (delega al personale) e Avv. Angela D’Agostino (delega al bilancio) pur confermando al primo cittadino il loro voto favorevole alla proposta di bilancio, chiedevano al Sindaco e ai colleghi di giunta di posticipare l’adozione dell’atto al giorno successivo, al solo fine di approfondirne il contenuto, essendone i proponenti.

Da qui già tutte le stranezze del caso. A cosa serve chiedere un giorno in più di valutazione se già si è dichiarato di voler votare a favore? Ma poi. Chi meglio dell’Assessore al bilancio potrà mai conoscere il bilancio? Perché chiedere di posticipare un giorno? Ma soprattutto. Cosa sarebbe cambiato in un giorno se già si sa che bisogna votarlo?

In realtà quello che sarebbe cambiato in un giorno l’abbiamo scoperto raccogliendo alcune indiscrezioni in esclusiva. Aspettare qualche giorno, voleva dire arrivare ad alcune scadenze burocratiche per le quali si rischiava di finire sotto la scure del sollecito prefettizio e contestualmente diventare causa e soluzione dello stesso problema, con la speranza di aumentare un peso politico che fino ad allora non si possedeva. Un peso che avrebbe consentito loro di continuare a tirare la giacca del Sindaco, ancor di più rispetto a quanto fatto finora.

Siccome il primo cittadino, conquistandosi i galloni sul campo, prima da Sinadco autorevole e poi da vicesindaco metropolitano, non se l’è sentita di subire ulteriori ricatti e siccome il processo di scissione era già stato avviato dagli stessi protagonisti scegliendo di ripararsi sotto l’ala protettiva del cavaliere d’Italia, ha ritenuto opportuno, dopo un serio faccia a faccia con gli assessori in questione, avvertire che visti i tempi ristretti e se non si fossero ravveduti dalle futili motivazioni dichiarate, si sarebbe visto costretto a revocare loro le deleghe per motivi politici. I loro consiglieri di riferimento, evidentemente non ci hanno creduto e la fascia tricolore ha dovuto far proseguire i fatti alle proprie parole.

Alla fine il primo cittadino prende due piccioni con una fava. Si divincola dall’imbarazzo di avere in un’Amministrazione targata centrosinistra una rappresentanza di Forza Italia e relega all’opposizione, scrollandoseli di dosso, quattro consiglieri dediti alle continue richieste.

Ancora una volta il dato politico che si registra è quello di avere a che fare con una classe dirigente personalistica e sprovveduta. Quello che hanno guadagnato i quattro consiglieri con la loro azione politica è un pugno di mosche, con la conseguente perdita dei due assessori mai più riproponibili anche laddove gli stessi consiglieri facessero un’azione di apertura per un nuovo rientro in maggioranza. Michele Fusco e l’Avv. Angela D’Agostino, che secondo regole non scritte della politica, si sarebbero potuti salvare se solo avessero rimesso le loro dimissioni nelle mani del Sindaco che, dichiaratosi già garante politico, avrebbe avuto l’obbligo morale di intavolare una riflessione col partito di appartenenza con il probabile rientro della discussione con tanto di dichiarazioni formali da dare in pasto all’opinione pubblica. Invece no, da puri esperti sprovveduti, hanno voluto alzare un fronte, facendo un affronto alla fascia tricolore perdendo, come si dice in gergo, “a Filippo e il paniere”.

Secondo altre indiscrezioni dell’ultim’ora pare che i quattro siano già pentiti delle scelte fatte e della strategia adottata, e che a tutti i costi vorrebbero ricucire con la maggioranza, anche perché consapevoli che il Bilancio è stato condiviso anche con loro.

Non solo pentiti, in realtà avrebbero già un piano di rientro, sul come accordarsi col Sindaco Cirillo e indicando altri due nomi di assessori, il primo è quello di Pompeo D’Agostino, papà dell’Assessora al bilancio dimissionario, nome questo atto a mantenere in piedi gli accordi pre-elettorali con Andrea Russo e il secondo quello di una donna che sostituirebbe nei fatti Michele Fusco e contestualmente andrebbe a riempire la casella della quota rosa prima occupata proprio dall’ex Assessora D’Agostino. Su questa ipotesi, a quanto pare, ha già fatto sentire la propria voce con i suoi l’ex vicesindaco Michele Fusco che attenendosi agli ordini di scuderia si è visto fuori da tutti i giochi. Vi terremo aggiornati sulla vicenda.

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