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Cardito

CARDITO. Respinti e bocciati di nuovo i PUA del “Lavinaio”. La polemica si sposta al centro

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CARDITO – Lo avevamo anticipato e lo ribadiamo di nuovo. Il sindaco Cirillo oltre a dare conferme continue sulla bontà del suo progetto, deve essere anche impegnato a mettere a tacere continuamente i suoi detrattori. E questo in un paese normale non è normale. Si sono paventate Commissioni d’inchieste e infiltrazioni camorristiche all’indomani che il primo cittadino aveva messo a tacere le polemiche sul commissariamento della Provincia circa il problema dei PUA al Lavinaio e qualcuno addirittura pretendeva la smentita di una fake news. Strano anche per un giornalista chiedere ad una testata le verifiche su una falsa notizia. Una fake news puzza di falso a miglia di distanza, uno bravo l’annusa e ne comprende la veridicità, non ha bisogno di ostentare amicizie a destra e a manca per capire quanto siano strumentali alcune informazioni rilasciate dalla carta stampata, specie se a volte anche le amicizie vengono arruolate in maniera strumentale. Ma veniamo al tema di oggi.

Finalmente viene messa un’ulteriore pietra tombale sull’argomento lottizzazioni di Via Roma. Sperando che i famosi PUA non si tramutano in zombie e fuoriescano di nuovo dalla tomba. Il dirigente Pasquale Imbemba, ha dichiarato improcedibili i PUA presentati sulle lottizzazioni di Via Roma, avvalendosi anche e soprattutto sul fatto che dal 2012 nel progetto degli istanti poco è cambiato circa il carico urbanistico a danno degli standard ambientali. Così, ancora una volta, quest’amministrazione, come anticipato nell’ultimo consiglio, ha tenuto fede alla sua visione di città sull’argomento urbanistica.

Neanche il tempo di chiudere un argomento che già i “lavinaisti” fanno emergere nuove polemiche. Come si poteva benissimo auspicare, chi era favorevole alle lottizzazioni di Via Roma, oggi attacca quest’amministrazione sul fatto che nel centro storico si continua a costruire in barba allo slogan “No Cemento”. Ovviamente polemica del tutto strumentale che potrebbe imbambolare solo chi è rimasto a quel concetto di politica di alcuni decenni fa, dove il politico di turno poteva raccontare “la qualunque” e veniva comunque creduto. Fortuna per pochi e sfortuna per molti, i tempi cambiano e la sfiducia nella politica aumenta proprio perché esistono politici che usano la cura della res publica a proprio uso e consumo.

Non ci troviamo neanche d’accordo con chi vorrebbe far passare il messaggio che siccome i terreni della Zona C sono edificabili e chi ne ha fatto richiesta resta nella legalità, bocciando i PUA si premia chi ha costruito in passato abusivamente perché intanto quegli immobili sono stati condonati. Ancora un’ulteriore strumentalizzazione. I cittadini carditesi e i presentatori dei PUA si dovrebbero chiedere, invece, cosa sorge al posto in cui dovrebbero essere presenti i cosiddetti standard e se è legittimo o meno aver taciuto o aver permesso all’epoca che venisse deturpato il territorio e soprattutto per mano di chi?

Ma veniamo ai fatti. Nel centro storico non si aggiunge altro cemento, non si fa carico urbanistico, poiché qui si parla di abbattimento e ricostruzione con un incremento della cubatura previsto dal Piano Regolatore vigente. Quindi chi mette al confronto il cemento del Lavinaio con quello del centro storico, o non è informato bene o è in malafede. Per quanto riguarda invece le “numerose” – a detta di qualcuno – concessioni edilizie. Anche quest’ultime non sono ascrivibili a Cirillo e le sue amministrazioni. Perché la pianificazione urbanistica è stata ereditata da una legge regionale del Dicembre 2011 che andava in vigore nel 2012 e che aveva come scopo lo sviluppo economico e commerciale dei territori. Infatti sia le concessioni edilizie rilasciate o i permessi di apertura per attività produttive, sono stati rilasciati in automatico dai settori comunali preposti poiché i richiedenti possedevano i requisiti. Ovviamente chi richiede – secondo questa legge – un permesso a costruire riceve in deroga agli strumenti urbanistici una premialità. Morale della favola? Tutti i permessi emessi nell’era Cirillo sono legittimi e scaturiti da una legge regionale, nulla di ascrivibile alla responsabilità del primo cittadino, checché ne dica chi assolutamente vuole gettare fango e sperare nella destabilizzazione che faccia posto ai soliti noti, quelli che realmente hanno cementificato e deturpato il territorio.

Con la bocciatura dei PUA, la fascia tricolore carditese ha dato una bella risposta a chi, soprattutto in consiglio, strumentale o no chiedeva le proprie dimissioni facendo leva sull’ipotetico arrivo di un commissario ad acta, ma soprattutto ha dato una enorme dimostrazione alla cittadinanza di quanto sia solida la sua leadership e quanto peso abbiano le sue idee. Ecco perché nelle nostre zone, si riesce a produrre sempre poco, perché chi ha davvero intenzione di sviluppare il proprio paese, deve fare i conti sia con la macchina burocratica che con la macchina del fango. La fatica è sempre doppia, perché l’ansia di togliere il posto a chi governa è sempre alta e in questo caso Cirillo deve rassegnarsi all’idea che nel momento che risolve un problema e nel frattempo che comincia a risolverne un altro, deve badare a come annientare le false polemiche, quelle strumentali montate da chi in questa città ha sempre mangiato grazie alla politica.

 

Cardito

CARDITO. Il Consigliere Russo attacca il Sindaco sul tema staff personale, riportando dati falsi

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CARDITO – Non sempre un giornalista critico della politica entra nel merito del dibattito pubblico se non per evidenziare le fake news legate alla demagogia spicciola che possono uscire fuori dalle dichiarazioni degli addetti ai lavori.

È quanto successo pochi minuti fa nel comune del cardellino con le dichiarazioni del Consigliere Andrea Russo che affrontando un tema demagogico come quello dello sperpero di denaro pubblico legato all’assunzione degli organi formanti lo staff del Sindaco, dichiara, attraverso un video postato sui social, alcune falsità al solo scopo di alimentare rabbia e impopolarità nella figura del primo cittadino. Ma andiamo ad analizzare i fatti.

Andrea Russo nel suo video asserisce che il Sindaco Giuseppe Cirillo abbia portato il numero dei formanti lo staff da 3 a 5 soggetti, lasciando intendere una volontà da parte del primo cittadino su un ulteriore esborso di denaro pubblico. Nulla di più falso. Gli staffisti nel comune gialloblu sono sempre stati tre. All’inizio furono assunti Andrea Fisher – staffista storico – Vincenzo Russo, Nicola Di Micco e Biagio Barra, poi si decise di nominare il Di Micco dirigente dell’ente sfruttando l’Art. 110 del Tuel, liberando così una casella dal capitolo di bilancio posto in essere sullo staff del Sindaco. Da allore quella casella è rimasta vuota per parecchi mesi, facendo risparmiare, in realtà, soldi ai contribuenti.

Oggi il primo cittadino, vuoi perché oberato di lavoro, vuoi perché abituato ad avere la segreteria con impegni suddivisi su tre elementi, ha pensato bene di assumere due figure part-time. Praticamente la casella lasciata vuota da Di Micco sarà riempita da altri due staffisti allo stesso costo di sempre da parte dell’ente.

Il dato politico che esce fuori è quasi pari a zero. A queste latitudini si cerca di fare opposizione sul nulla. Si comprende e va bene il gioco delle parti, ma non si può parlare a distanza di tre anni dopo aver passato gli stessi anni tra i banchi di maggioranza accompagnati dal mutismo selettivo cronico e svegliarsi su questioni, inesistenti tra l’altro, solo ora e per giunta raccontando frottole. Ci aspettiamo altro da un professionista come Andrea Russo che in quanto tale dovrebbe anche capire che anche il confronto con i comuni limitrofi non regge. Gli altri enti non hanno a capo un Sindaco che deve destreggiarsi tra impegni locali e metropolitani, quindi che ben vengano occhi vigili sul territorio atti ad arginare facili distrazioni o dimenticanze. Non mi si venga neanche ad incolpare il primo cittadino per la doppia carica, dato che la sua visione sovracomunale è sotto gli occhi della città e la ricezione di decine di milioni di euro non è da tutti.

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Afragola

Stupri, violenze e omicidi. Facile fare il prete anticamorra con la legge che li obbliga a non denunciare

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Facile fare il prete di periferia negli addensamenti di povertà a nord di Napoli. Basta avere l’ambizione di andare a colmare un vuoto lasciato dalla politica e dalle istituzioni con l’aiuto della fede e della toga e un po’ di predisposizione all’egocentrismo. Aspettare che un tragico evento si verifichi e attendere, inesorabilmente, lo stuolo di colleghi giornalisti che, non sapendo chi intervistare, dato che a queste latitudini la politica è sempre assente per autoimplosione, si rivolgono al personaggio più populista e demagogo rimasto sul territorio.

Allora la riflessione che voglio fare oggi, così come esposta ai tempi dei fatti che riguardarono l’omicidio di Fortuna Loffredo è: la Chiesa che da secoli cerca di colmare i vuoti creati dalla cecità dei governatori sarebbe in grado di aiutare, fattivamente, le vittime di questi efferati delitti?

Tutti noi sappiamo che secondo l’art. 200 c.p.p. la legge italiana rispetta il segreto confessionale tanto che stabilisce che: il sacerdote a cui è stato confessato un reato NON può essere obbligato a essere chiamato come testimone in un processo. Al contrario, come recita l’art. 622 c.p., violare il segreto confessionale potrebbe costituire reato: il sacerdote che dovesse violare il segreto confessionale per un qualsiasi motivo NON previsto dalla legge, rischia la reclusione fino a 1 anno e una multa che può variare tre le € 30 e le € 516.

D’altro canto, invece, è pur vero che la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6912 del 14 gennaio 2017 ha chiarito che il sacerdote che NON DEVE violare il segreto confessionale è tenuto a collaborare con la giustizia. Il segreto confessionale cade nel momento in cui il fedele confessa di essere, ad esempio, stata vittima di violenza. Il sacerdote che, in sede di processo, si rifiuta di testimoniare o mente durante la deposizione rischia la reclusione fino a 6 anni per il reato di falsa testimonianza.

La differenza sta proprio qui! Se a confessare il reato è chi commette il reato? Allora vale la prima ipotesi, ossia, il prete è tenuto a non denunciare ciò che gli è stato riferito in confessione. Ma questo principio ecclesiastico, condiviso anche dalle norme laiche della nostra Costituzione, in verità, quanta carità cristiana serba in sé?

Facendo un’opportuna riflessione sociologica, da anni il tema della religiosità dei mafiosi, o dei criminali in generale, apre lo scenario a molteplici piani di analisi: da una parte, occorre chiedersi che significato assumono le devozioni e le ritualità religiose e che ruolo svolga il ricorso alla fede all’interno di certi contesti, dall’altra è indispensabile valutare le posizioni che la Chiesa ha progressivamente espresso nella storia. Lo studio delle organizzazioni mafiose lascia emergere il dato piuttosto singolare di una religione che diventa strumento di legittimazione, offrendo motivazioni agli atti criminosi, alleviando le paure e le angosce nutrite dagli affiliati per il proprio destino personale. Ed è per questi motivi che si può benissimo pensare che anche un reato come lo stupro può facilmente essere confessato ad un protettore di anime.

Allora la domanda sorge spontanea: a quali responsabilità la Chiesa espone un prete di periferia, pastore di un addensamento di povertà come quella del Parco Verde? Quale peso deve sopportare un prete anticamorra se tali principi lo devono, per forza maggiore, relegare alla figura di un inerme testimonial della lotta? Ma soprattutto come si sentirebbe l’uomo che alberga sotto la toga a sapere di essere stato costretto a non evitare tale scempio?

Allora l’ultima osservazione che vorrei fare è quella del ruolo della Chiesa nella società moderna. Forse, dico forse, con tutta la modestia possibile, sarebbe il caso di far scendere realmente in trincea chi, almeno a parole, dichiara di voler salvare la vita alla povera gente su questo umile pianeta e far sì che chi sappia denunci immediatamente.

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Caivano

Colpite delle auto di una concessionaria durante una sparatoria a Cardito

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Ieri notte alle ore 2:20 circa a Cardito, i carabinieri di Caivano sono intervenuti a via I Maggio angolo via della Repubblica per una segnalazione di colpi d’arma da fuoco. Alcuni colpi di arma da fuoco sono stati sparati verso 4 auto che erano all’interno di un concessionario, 7 i fori causati. Sono in corso le indagini della vicenda.

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