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Cardito

CARDITO. Con e senza formalità, il dato politico non cambia: Mirone è il (di) nuovo Presidente del Consiglio

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CARDITO – La politica non è fatta per gli azzeccagarbugli, e aggiungerei non è fatta, a maggior ragione per i servitori sciocchi degli azzeccagarbugli. Ancora una volta la politica carditese registra un aneddoto triste che a fargli cronaca sarebbe davvero un lusso per alcuni elementi che a seconda delle circostanze mutano la loro identità da politico a comune cittadino e viceversa. Ma veniamo ai fatti.

Dopo il fango riversato, attraverso ennesimi video – forse sono stati fatti tanti perché chi li ha realizzati non era tanto sicuro di essersi spiegato bene o aver esposto come voleva fatti che in realtà non esistevano – sull’ultimo Consiglio comunale e quindi sull’amministrazione tutta. Questa maggioranza, per eccesso di zelo, e solo quello, checché si dica altro, ha ritenuto opportuno sfuggire a facili strumentalizzazioni che si potevano appellare ad una sentenza del TAR di Torino che stabiliva il quorum per questo tipo di votazioni a 11,33 consiglieri eletti e che tale cifra doveva essere arrotondata per eccesso. Tralasciando, così come hanno tralasciato, opportunamente, anche i lanciatori di deiezioni che a far da contraltare al TAR di Torino ci sono ennesime sentenze di altri Tribunali dove si asserisce che per i decimali inferiori allo 0,5 la cifra va arrotondata per difetto e superiore allo 0,5 va arrotondata per eccesso. Come la legge di approssimazione di matematica vuole, studiata ai tempi del liceo. Logicamente questo vale per chi al liceo abbia studiato e non solo riscaldato il banco e la sedia. Ovviamente senza dilungarci in tecnicismi, quello che vorrei far capire a chi mi legge e tutt’altro.

Chi cova l’ambizione a costruire un’alternativa seria a questa maggioranza che già ha individuato in Cirillo il suo prossimo candidato sindaco è costretto a misurarsi almeno alla pari e per farlo, deve inevitabilmente alzare l’asticella del confronto politico. Tutt’oggi il confronto in aula è inesistente, perché un’alternativa non c’è. Le minoranze preferiscono gli inciuci nei bar e sui marciapiedi, preferiscono arruolare il kamikaze di turno che scioccamente ci mette la faccia, asserendo termini dei quali non sa neanche di cosa si stia parlando, segno tangibile questo che chi opera fuori le mura ha lo stesso modus operandi di chi è abituato a scrivere la letterina da spedire in Consiglio Comunale attraverso il postino di Maria De Filippi e poi scappare via. Questa mattina a salire sulla bici per venire in aula è toccato alla consigliera Tignola che appena consegnata la missiva è scappata via sfuggendo al confronto, salvo poi per ritornare di nuovo al momento del dibattito per far fare la conta dei presenti e far annullare la parte ludica del Consiglio, quando qualche consigliere, dopo una settimana di fango e deiezioni ricevute, stava per togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Ecco, questo è il livello dell’opposizione che c’è a Cardito oggi. Un’opposizione che sfugge al confronto, consiglieri che si dimettono e lasciano il posto a chi in realtà non ha neanche il coraggio di presentarsi. Consiglieri dimissionari che durante la loro permanenza hanno fatto della calunnia e dell’offesa la propria arma di discussione che dopo le dimissioni si permettono di parlare di trasparenze e di legalità!?

In questi giorni si è detto tutto e di tutti! Il fango aveva preso il posto della verità. Fortuna per i cittadini è che quest’ultima è dura a morire. Il dato politico che è emerso oggi e che nessuno ha avuto il coraggio di evidenziare, tanto meno chi si erge a informatore paladino della sua giustizia, è che mentre gli altri giocano alle catapulte di acqua mischiata al terreno, da quest’altra parte della staccionata, c’è qualcuno che guarda già oltre, già al 2020 e con azioni di ecumenicità sta costruendo la sua stabilità. Ovviamente, ripeto, chi cova sogni di gloria, piuttosto che gettare fango che non sporca, dovrebbe preoccuparsi a creare qualcosa di costruttivo e di alternativo sul piano politico e se davvero questi signori stessero lavorando in questo senso, piuttosto che aggrapparsi al TUEL o al Regolamento statutario del Comune, al posto di andare a vedere quanti e se hanno votato nascondendo l’urna, dovrebbero badare al sodo, anche perché il risultato finale non è cambiato, il dato politico uscito fuori è che oggi a Cardito c’è una maggioranza, di nove consiglieri più il sindaco, compatta e unita nelle decisioni e la decisione di oggi è stata uguale a quella del 19 Ottobre scorso: Giuseppe Mirone Presidente del Consiglio. Allora come fare per fornire alla cittadinanza un’alternativa valida per il 2020? Innanzitutto chi si vuole prendere questo tipo di responsabilità deve cominciare, prima di tutto, a domandarsi qual è il motivo per il quale il Consigliere Mirone abbia accettato la carica di Presidente del Consiglio e se laddove ci fosse stato un accordo per il 2020, cosa abbia fatto pendere la bilancia dalla parte di Cirillo? E non mi si venga dire che il minimo comune multiplo risiede nella parola “Cemento” perché poi se cemento deve essere, allora tale motivazione deve valere anche quando il consenso di Mirone ha giovato chi oggi mette in piedi queste accuse?

Ecco perché chi pratica la politica da marciapiede, non essendo più in aula, o perché non votato, o perché non si è candidato, deve sapere che una cosa è la politica e un’altra cosa è il rispetto delle regole. Ovviamente quest’ultima non deve mai mancare, ma ogni tanto valutare anche se la mancanza di regole fatta per consuetudine guasti o meno il risultato finale di un’azione politica è sinonimo del fatto che a volte nella vita si sceglie di essere uomini, uommenicchi o quaqquaraquà.

Afragola

Stupri, violenze e omicidi. Facile fare il prete anticamorra con la legge che li obbliga a non denunciare

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Facile fare il prete di periferia negli addensamenti di povertà a nord di Napoli. Basta avere l’ambizione di andare a colmare un vuoto lasciato dalla politica e dalle istituzioni con l’aiuto della fede e della toga e un po’ di predisposizione all’egocentrismo. Aspettare che un tragico evento si verifichi e attendere, inesorabilmente, lo stuolo di colleghi giornalisti che, non sapendo chi intervistare, dato che a queste latitudini la politica è sempre assente per autoimplosione, si rivolgono al personaggio più populista e demagogo rimasto sul territorio.

Allora la riflessione che voglio fare oggi, così come esposta ai tempi dei fatti che riguardarono l’omicidio di Fortuna Loffredo è: la Chiesa che da secoli cerca di colmare i vuoti creati dalla cecità dei governatori sarebbe in grado di aiutare, fattivamente, le vittime di questi efferati delitti?

Tutti noi sappiamo che secondo l’art. 200 c.p.p. la legge italiana rispetta il segreto confessionale tanto che stabilisce che: il sacerdote a cui è stato confessato un reato NON può essere obbligato a essere chiamato come testimone in un processo. Al contrario, come recita l’art. 622 c.p., violare il segreto confessionale potrebbe costituire reato: il sacerdote che dovesse violare il segreto confessionale per un qualsiasi motivo NON previsto dalla legge, rischia la reclusione fino a 1 anno e una multa che può variare tre le € 30 e le € 516.

D’altro canto, invece, è pur vero che la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6912 del 14 gennaio 2017 ha chiarito che il sacerdote che NON DEVE violare il segreto confessionale è tenuto a collaborare con la giustizia. Il segreto confessionale cade nel momento in cui il fedele confessa di essere, ad esempio, stata vittima di violenza. Il sacerdote che, in sede di processo, si rifiuta di testimoniare o mente durante la deposizione rischia la reclusione fino a 6 anni per il reato di falsa testimonianza.

La differenza sta proprio qui! Se a confessare il reato è chi commette il reato? Allora vale la prima ipotesi, ossia, il prete è tenuto a non denunciare ciò che gli è stato riferito in confessione. Ma questo principio ecclesiastico, condiviso anche dalle norme laiche della nostra Costituzione, in verità, quanta carità cristiana serba in sé?

Facendo un’opportuna riflessione sociologica, da anni il tema della religiosità dei mafiosi, o dei criminali in generale, apre lo scenario a molteplici piani di analisi: da una parte, occorre chiedersi che significato assumono le devozioni e le ritualità religiose e che ruolo svolga il ricorso alla fede all’interno di certi contesti, dall’altra è indispensabile valutare le posizioni che la Chiesa ha progressivamente espresso nella storia. Lo studio delle organizzazioni mafiose lascia emergere il dato piuttosto singolare di una religione che diventa strumento di legittimazione, offrendo motivazioni agli atti criminosi, alleviando le paure e le angosce nutrite dagli affiliati per il proprio destino personale. Ed è per questi motivi che si può benissimo pensare che anche un reato come lo stupro può facilmente essere confessato ad un protettore di anime.

Allora la domanda sorge spontanea: a quali responsabilità la Chiesa espone un prete di periferia, pastore di un addensamento di povertà come quella del Parco Verde? Quale peso deve sopportare un prete anticamorra se tali principi lo devono, per forza maggiore, relegare alla figura di un inerme testimonial della lotta? Ma soprattutto come si sentirebbe l’uomo che alberga sotto la toga a sapere di essere stato costretto a non evitare tale scempio?

Allora l’ultima osservazione che vorrei fare è quella del ruolo della Chiesa nella società moderna. Forse, dico forse, con tutta la modestia possibile, sarebbe il caso di far scendere realmente in trincea chi, almeno a parole, dichiara di voler salvare la vita alla povera gente su questo umile pianeta e far sì che chi sappia denunci immediatamente.

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Caivano

Colpite delle auto di una concessionaria durante una sparatoria a Cardito

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Ieri notte alle ore 2:20 circa a Cardito, i carabinieri di Caivano sono intervenuti a via I Maggio angolo via della Repubblica per una segnalazione di colpi d’arma da fuoco. Alcuni colpi di arma da fuoco sono stati sparati verso 4 auto che erano all’interno di un concessionario, 7 i fori causati. Sono in corso le indagini della vicenda.

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Cardito

CARDITO. L’uscita dei quattro di FI dalla maggioranza era un processo che andava consumato

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CARDITO – Questione di tempo! Questa è la sintesi giusta che si possa fare a chi da tempo cerca di strumentalizzare attaccando con pochi e futili argomenti l’Amministrazione Cirillo sull’obbrobrio politico che si stava consumando in maggioranza, facendo registrare contestualmente due partiti che ideologicamente e storicamente sono sempre stati agli antipodi, ossia PD e Forza Italia.

La stortura ovviamente non è nata dalla volontà del Sindaco Cirillo ma dalle scelte politiche, seppur legittime, di quattro consiglieri comunali che eletti in diverse liste civiche di sinistra che appoggiavano la candidatura del Sindaco Cirillo, scelgono un altro percorso politico, tradendo di fatto l’elettorato, andandosi a rifugiare sotto l’effige azzurra del partito di Silvio Berlusconi. Ma questa oramai è storia nota all’ombra di Palazzo Mastrilli. Veniamo adesso ai giorni nostri.

Ai quanti volevano strumentalizzare sulla coesistenza in maggioranza dei due partiti PD-FI si può solo rispondere che bisognava che maturassero i processi. La scissione è arrivata in maniera fisiologica, un po’ come avviene all’Università con la selezione naturale di chi porta al termine il proprio percorso di studi, così i quattro consiglieri Giovanni Aprovidolo, Orlando De Simone, Giuseppe Mirone e Andrea Russo hanno scelto il modo e il momento più sbagliato possibile per comunicare alla città la loro volontà di passare all’opposizione e di non condividere più le scelte dell’Amministrazione.

Le motivazioni che danno nel documento redatto e pubblicato ieri a mezzo social – contestualmente all’evento della Festa della Liberazione che l’Amministrazione stava svolgendo all’interno di un altro evento riuscitissimo sul territorio della quattro giorni della 29^ edizione della Sagra delle Fragole e degli Asparagi e dell’avvio della promozione social dell’evento del concerto del primo maggio che vedrà come special guest la band musicale “The Kolors” quando si è registrato, forse, l’apice più alto della popolarità del Sindaco Cirillo e della sua Amministrazione – lasciano il tempo che trovano apparendo come degli stucchevoli e futili tentativi di destabilizzazione atti solo a creare un peso, che nei fatti, i quattro hanno dimostrato di non possedere e passo subito all’illustrazione dei fatti.

I quattro consiglieri nella missiva scrivono che i due assessori Michele Fusco (delega al personale) e Avv. Angela D’Agostino (delega al bilancio) pur confermando al primo cittadino il loro voto favorevole alla proposta di bilancio, chiedevano al Sindaco e ai colleghi di giunta di posticipare l’adozione dell’atto al giorno successivo, al solo fine di approfondirne il contenuto, essendone i proponenti.

Da qui già tutte le stranezze del caso. A cosa serve chiedere un giorno in più di valutazione se già si è dichiarato di voler votare a favore? Ma poi. Chi meglio dell’Assessore al bilancio potrà mai conoscere il bilancio? Perché chiedere di posticipare un giorno? Ma soprattutto. Cosa sarebbe cambiato in un giorno se già si sa che bisogna votarlo?

In realtà quello che sarebbe cambiato in un giorno l’abbiamo scoperto raccogliendo alcune indiscrezioni in esclusiva. Aspettare qualche giorno, voleva dire arrivare ad alcune scadenze burocratiche per le quali si rischiava di finire sotto la scure del sollecito prefettizio e contestualmente diventare causa e soluzione dello stesso problema, con la speranza di aumentare un peso politico che fino ad allora non si possedeva. Un peso che avrebbe consentito loro di continuare a tirare la giacca del Sindaco, ancor di più rispetto a quanto fatto finora.

Siccome il primo cittadino, conquistandosi i galloni sul campo, prima da Sinadco autorevole e poi da vicesindaco metropolitano, non se l’è sentita di subire ulteriori ricatti e siccome il processo di scissione era già stato avviato dagli stessi protagonisti scegliendo di ripararsi sotto l’ala protettiva del cavaliere d’Italia, ha ritenuto opportuno, dopo un serio faccia a faccia con gli assessori in questione, avvertire che visti i tempi ristretti e se non si fossero ravveduti dalle futili motivazioni dichiarate, si sarebbe visto costretto a revocare loro le deleghe per motivi politici. I loro consiglieri di riferimento, evidentemente non ci hanno creduto e la fascia tricolore ha dovuto far proseguire i fatti alle proprie parole.

Alla fine il primo cittadino prende due piccioni con una fava. Si divincola dall’imbarazzo di avere in un’Amministrazione targata centrosinistra una rappresentanza di Forza Italia e relega all’opposizione, scrollandoseli di dosso, quattro consiglieri dediti alle continue richieste.

Ancora una volta il dato politico che si registra è quello di avere a che fare con una classe dirigente personalistica e sprovveduta. Quello che hanno guadagnato i quattro consiglieri con la loro azione politica è un pugno di mosche, con la conseguente perdita dei due assessori mai più riproponibili anche laddove gli stessi consiglieri facessero un’azione di apertura per un nuovo rientro in maggioranza. Michele Fusco e l’Avv. Angela D’Agostino, che secondo regole non scritte della politica, si sarebbero potuti salvare se solo avessero rimesso le loro dimissioni nelle mani del Sindaco che, dichiaratosi già garante politico, avrebbe avuto l’obbligo morale di intavolare una riflessione col partito di appartenenza con il probabile rientro della discussione con tanto di dichiarazioni formali da dare in pasto all’opinione pubblica. Invece no, da puri esperti sprovveduti, hanno voluto alzare un fronte, facendo un affronto alla fascia tricolore perdendo, come si dice in gergo, “a Filippo e il paniere”.

Secondo altre indiscrezioni dell’ultim’ora pare che i quattro siano già pentiti delle scelte fatte e della strategia adottata, e che a tutti i costi vorrebbero ricucire con la maggioranza, anche perché consapevoli che il Bilancio è stato condiviso anche con loro.

Non solo pentiti, in realtà avrebbero già un piano di rientro, sul come accordarsi col Sindaco Cirillo e indicando altri due nomi di assessori, il primo è quello di Pompeo D’Agostino, papà dell’Assessora al bilancio dimissionario, nome questo atto a mantenere in piedi gli accordi pre-elettorali con Andrea Russo e il secondo quello di una donna che sostituirebbe nei fatti Michele Fusco e contestualmente andrebbe a riempire la casella della quota rosa prima occupata proprio dall’ex Assessora D’Agostino. Su questa ipotesi, a quanto pare, ha già fatto sentire la propria voce con i suoi l’ex vicesindaco Michele Fusco che attenendosi agli ordini di scuderia si è visto fuori da tutti i giochi. Vi terremo aggiornati sulla vicenda.

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