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Sanità. Nursing Up contro Aifa: “Terza dose per gli operatori sanitari? Calderone di incertezze” 

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ROMA – Ecco quanto riporta il referente del Nursing Up per la stampa, Alfredo Iannaccone in relazione alla discussione principiata proprio nella mattinata di oggi.

«Gli infermieri italiani hanno diritto di conoscere, al pari di tutti i cittadini, la durata dell’immunità, a partire dalla seconda dose. E’ necessario un alveo di regole certe, per tutelare gli operatori sanitari, mettendoli nella condizione a loro volta di offrire il meglio ai malati».

«Apprendiamo, in queste ore attraverso i media, della decisione dell’Aifa, in relazione alla terza dose del vaccino, di approvare l’inizio delle nuove somministrazioni, a partire dai primi mesi del 2022. 

Mentre da una parte appare netta, la posizione dell’Associazione Italiana del Farmaco, rispetto agli ottantenni e agli immuno-depressi, ci troviamo di fronte a una situazione, quelal relativa agli operatori sanitari, che merita decisamente maggiore chiarezza. 

In tal senso non possiamo nascondere la nostra preoccupazione per quanto sta accadendo, trovandoci nel bel mezzo di posizioni a nostro parere troppo generiche ed astratte. 

Occorrono invece regole precise rispetto alla terza dose, che oggi ahimè non ci sono ancora E’ necessario che il Ministero della Salute delinei i casi specifici in cui è prevista la nuova somministrazione.

E’ impensabile che l’Aifa, di concerto con il Ministero della Salute, parrebbe abbia deciso di affidare alla discrezionalità di un valutatore che sinceramente non abbiamo ancora compreso chi dovrà essere, la decisione sulla terza dose, caso per caso . 

Chi e quando deciderà se per un infermiere è necessaria? In quali situazione questa verrà negata? 

Chi si assume la responsabilità di negare la terza dose a un operatore sanitario già vaccinato in precedenza, che poi potrebbe ammalarsi di nuovo e diventare veicolo di contagio per i colleghi? 

Come deve porsi un operatore sanitario, rispetto alle stesse condizioni di rischio per la propria salute, nel momento in cui trascorrono inesorabili i mesi dalla sua seconda vaccinazione? A chi deve rivolgersi?

Quando invece di leggere di regole precise e dettagliati valide per tutti gli operatori sanitari, leggiamo invece di una valutazione che dovrà essere fatta solo “caso per caso”, legata al rischio individuale (livello anticorpale, malattie pregresse) di ogni operatore sanitario di infettarsi di nuovo, ci troviamo di fronte a un pericoloso quadro astratto, di complessa interpretazione, e i cui tratti finali sembra che siano stati affidati alla matita di un artista ancora anonimo.  

Insomma, chi sarà chiamato ad assumersi la responsabilità di dare concreta applicazione a tutte queste enunciazioni tremendamente generiche ed astratte? Si lascerà tutto alla valutazione del medico di famiglia, senza regole precise di fondo per tutti?

Gli stessi cittadini italiani vaccinati hanno diritto di sapere quali sono le loro condizioni di immunità in relazione alla tempistica delle loro vaccinazioni.

Come Sindacato Nazionale degli Infermieri, alla luce dei recenti, nuovi e pericolosi focolai di contagi, che stanno coinvolgendo per la maggior parte operatori sanitari già vaccinati con le due dosi effettuate ad inizio anno, pretendiamo di comprendere quale sia il tempo ed il livello effettivo di durata dell’immunità, a partire dal giorno della seconda dose. 

Non possiamo permetterci di affidarci a singole valutazioni per ogni infermiere interessato, peraltro rimesse volta per volta alla discrezionalità di soggetti che nel susseguirsi di informazioni non abbiamo ancora precisamente identificato.

E’ troppo importante la condizione di rischio degli infermieri italiani e il loro impegno quotidiano con i malati. 

E poi, non è di secondaria importanza che tutto questo accade, nonostante l’evidenza che vede numeri allarmanti, quelli dell’Istituto Superiore della Sanità, che raccontano di un aumento spropositato di casi di operatori sanitari contagiati: ben 250 a luglio, che diventano 1951 il mese successivo, dei quali, naturalmente, l’82% sono infermieri.

Insomma, a fronte di numeri complessivi di persone infettate che scendono, l’aumento repentino dei contagi tra gli operatori sanitari esplode sotto gli occhi di tutti: lo vediamo solo noi? Cosa sta succedendo? Come possiamo accontentarci di risposte vaghe ed interlocutorie di fronte alla tutela della salute dei professionisti della sanità di cui il Governo e le Regioni, datori di lavoro, sono i primi responsabili?

Quanto dura effettivamente l’immunità garantita dai prodotti in uso? Siamo certi che si tratti degli annunciati sei mesi? E se così fosse, allora gli infermieri non possono certo permettersi di aspettare una volta arrivati alla scadenza. Almeno per come la vediamo noi, al raggiungimento della data fatidica, e possibilmente “prima” che si verifichi il pericoloso abbassamento delle difese immunitarie, a tutti gli interessati deve essere data la possibilità di vaccinarsi subito, che si tratti di sei oppure otto o dodici mesi, questo non importa. 

Ma attenzione, perchè nel caso degli operatori sanitari, solo un percorso fatto di screening continuativi, potrà metterli nelle condizioni di conoscere l’evolversi delle loro condizioni, e fare in modo che tanti di loro, forti della personale ed elevata professionalità, vengano messi nella condizione di offrire ogni giorno il meglio della loro competenza, esperienza e  qualità umane.

Occorre difenderli, tutelarli, monitorare quotidianamente le loro condizioni, evitare di lasciarli sul luogo di lavoro quando corrono il rischio di contagiarsi e diventare a loro volta, involontariamente, per colleghi e soggetti fragili, veicolo di contagio.

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Città

L’Italia della Salute è letteralmente spaccata in due. Da una parte il centro-nord, e dall’altra il sud che sprofonda

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«L’Italia della Salute è oggi più che mai spaccata in due. Da una parte c’è un centro-nord con regioni non certo “isole felici” della sanità, afflitte da croniche carenze di personale, fughe di professionisti all’estero, dimissioni a raffica di professionisti. Sembrerebbe un quadro totalmente a tinte fosche ma non lo è, rispetto organizzazioni che comunque si mantengono decisamente a livelli di sufficienza, offrendo prestazioni comunque non al di sotto di determinati fondamentali standard di qualità.

Dall’altra parte il Sud cola letteralmente a picco, tra liste di attesa infinite, anche qui carenza di personale con realtà sanitarie di per se già vetuste, che pagano, vedi la Campania, politiche di austerity che hanno tagliato le gambe ad un sistema già traballante, dove si chiaro non mancano gli sforzi immani e le competenze di validi professionisti, che però si depauperano in un mare di disagi e di improvvisazione.

Cosa vi stiamo raccontando? L’Italia dai due volti, quella che, secondo le principali e attendibili indagini relative al 2023 ci disegna un Paese dove la qualità della tutela della salute è nettamente differente tra Nord e Sud. E tutto questo non è certo confortante in chiave futura, dal momento che tutti i cittadini, in particolare i soggetti più fragili, ovvero i malati cronici, meritano una sanità pubblica che risponda alle loro esigenze con la medesima efficienza, in qualunque territorio essi si trovino a vivere». Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.  In particolare è il report di  CREA Sanità del 2023 a confermare l’enorme gap tra Regioni, lanciato da tempo come allarme da sindacati  come il nostro, associazioni, Società scientifiche e Istituti nazionali di ricerca.

Nel 2023, secondo le analisi pubblicate a Giugno nell’XI Rapporto Crea Sanità sulle Performance Regionali, otto Regioni/Province autonome vengono  ‘promosse’, sette ‘rimandate’ e sei ‘bocciate’ alla prova delle performance valutate su sei dimensioni: Appropriatezza, Equità, Sociale, Esiti, Economico-finanziaria, Innovazione. Le conferme o le novità stanno per arrivare con lo sviluppo della nuova analisi già in fase di realizzazione e che sarà conclusa da Crea Sanità a fine primavera 2024. Nel 2023 Veneto, Trento e Bolzano hanno ottenuto il miglior risultato

Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Lombardia e Marche vanno abbastanza bene, con livelli dell’indice di Performance compresi tra il 47% e il 49 %. Le buone notizie finiscono qui: se Liguria, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Umbria, Molise, Valle d’Aosta e Abruzzo raggiungono livelli di performanceabbastanza omogenei, ma comunque inferiori, compresi nel range 37-43%, Sicilia, Puglia, Sardegna, Campania, Basilicata e Calabria, hanno livelli di performancepericolosamente più bassi rispetto al 32 per cento. In sostanza la valutazione divide in due l’Italia, con circa 29 milioni di cittadini nelle prime otto Regioni che possono stare relativamente tranquilli e altri 29 milioni nelle Regioni rimanenti che potrebbero avere serie difficoltà ad avere garantiti i servizi sanitari relativi ai capitoli sopra citati.

Ancora Antonio De Palma: «Al Sud, in particolare, come diretta conseguenza, viene sempre più a logorarsi, a causa dei disagi, anche l’empatia tra professionisti e pazienti, che stanchi ed esasperati da attese anche di 48 ore in un pronto soccorso, ci trasformano in capri espiatori di una sanità che non appare più a misura di persona. Ecco l’acuirsi del fenomeno delle aggressioni, ecco la rabbia e la violenza che la fa da padrone in quelli che dovrebbero essere luoghi di cura adibiti a salvare vite umane, dice ancora De Palma, e che diventano invece trincee con infermieri presi a pugni e a calci quasi ogni giorno.

In particolare, al Sud, il GAP è legato ad una sanità territoriale profondamente inefficiente. Il quadro più nebuloso è quello di una assistenza domiciliare non in grado di rispondere a pieno alle esigenze di anziani non autosufficienti, disabili e malati cronici, con le famiglie costrette a voli pindarici per visite e cure private, ma anche realtà dimenticate, dove servirebbe come il pane la presenza di quei famosi infermieri di famiglia che una legge doveva distribuire equamente da nord a sud e diventati quasi leggenda, vedi le carceri e le scuole, laddove sarebbe doveroso contare su validi professionisti dell’assistenza per sostenere ad esempio bambini e ragazzi disabili con sacrosanto diritto allo studio.

Solo dieci Regioni italiane hanno il maggior numero di indicatori, superiori alla media nazionale, ovvero rispondono ai parametri di una sanità a misura di cittadino, e sono tutte Regioni del Centro-Nord. La sanità della diseguaglianza, la sanità dell’approssimazione, la sanità dei disagi e della mediocrità, la sanità italiana dai due volti. Non è certo quello che vogliamo per noi, per le nostre famiglie, per la collettività. La soluzione è ben chiara: investire, investire e ancora investire, negli uomini e nelle donne della sanità, ovvero nei professionisti e nelle loro competenze, valorizzandoli economicamente e contrattualmente, senza cercare soluzioni tappabuchi (con tutto il rispetto per i professionisti stranieri, vengono prima i nostri di professionisti!). 

E ancora occorre investire nelle strutture, nell’organizzazione, nella tecnologia, nella ricerca, nella formazione, per ridonare appeal alle professioni sanitarie e garantirsi un indispensabile ricambio generazionale, con sempre più nuovi laureati che possano trovare nel proprio paese terreno fertile per innalzare il livello della qualità della nostra sanità. Insomma, la popolazione italiana, che viaggia verso un lento e costante invecchiamento, non può permettersi più gli schiaffi in faccia delle promesse mancate, la politica deve darsi una mossa», conclude De Palma.

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M5S, Cammarano: “Salvaguardare i livelli essenziali di assistenza per i cittadini e la salute degli operatori in servizio”

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“Questa mattina ho depositato un’interrogazione urgente in merito alle gravi criticità riscontrate presso l’unità operativa complessa di Anatomia e istologia patologica del presidio Tortora di Pagani. Il Polo oncologico del presidio rappresenta un’eccellenza della nostra Regione e l’unità operativa complessa di Anatomia e istologia patologica ogni anno esegue per gli ospedali di Nocera, Pagani e Scafati oltre 30.000 referti istologici, trattando 14.000 campioni anatomopatologici, più altri 17.000 campioni per gli screening cervico-uterini.

Attualmente sono operativi unicamente cinque tecnici sanitari di laboratorio biomedico, due dei quali beneficiano di legittima riduzione oraria per disposizione di legge. Da molti mesi, a causa di questa carenza si sono riscontrati tempi di attesa dei referti dai 60 ai 70 giorni. Analoghe difficoltà si riscontrano per il personale medico, anche a causa del recente pensionamento del primario, con un totale di soli quattro medici in servizio, oltre a uno specialista part-time. La scarsità del personale comporta un forte rischio di disservizi per l’utenza e la conseguente dilatazione dei tempi di diagnosi.

Alla giunta abbiamo chiesto quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di scongiurare che questa situazione pregiudichi il rispetto dei livelli essenziali di assistenza per i cittadini e la salute degli operatori sanitari in servizio”. Dichiara il consigliere regionale del Movimento 5 Stelle Michele Cammarano. “La carenza di personale sanitario comporta inoltre un aumento di stress lavorativo e psicologico per i pochi operatori in servizio, con conseguenti difficoltà nei rapporti professionali e interpersonali. I disservizi e i rischi per la salute degli operatori sanitari possono inoltre determinare l’insorgere di contenziosi, con conseguenti ricadute negative sul piano economico e dell’immagine dell’ASL Salerno. E’ necessario intervenire subito”. A dirlo è la coordinatrice provinciale del Movimento 5 stelle a Salerno Virginia Villani.

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campania

Violenze contro gli infermieri. I professionisti decidono di difendersi da soli! esplodono i casi di risarcimenti dei danni agli aggressori.

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«Un legittimo moto di ribellione e di rivalsa è in atto negli ultimi mesi, secondo una nostra accurata indagine, da Nord a Sud, e vede coinvolti numerosi professionisti sanitari, stanchi e soprattutto umiliati per le violenze e le aggressioni subite. Le lacune “del sistema” sono innumerevoli: si parte dal modus operandi, assai discutibile, di aziende sanitarie che dimenticano troppo in fretta di essere responsabili dell’incolumità psico-fisica dei propri dipendenti (citiamo in tal senso la sentenza della Corte di Cassazione n. 14566, anno 2017. La sentenza in questione non fa altro che applicare quanto disposto dall’articolo 2087 del codice civile. L’imprenditore o datore di lavoro è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, i dipendenti in sostanza).

Le aziende sanitarie, soprattutto di recente, si limitano a costituirsi parte civile, ma è troppo facile cadere nel vittimismo, quando invece si avrebbe il dovere legale di tutelare i propri dipendenti con interventi mirati.  Il caso emblematico si è verificato a Pesaro, dove, dopo una brutale aggressione, avvenuta ai tempi del Covid, un infermiere, che ancora oggi soffrirebbe dei postumi di una frattura alla spalla, ha denunciato il giovane che lo ha brutalmente picchiato.

Ebbene il collega ha chiesto ufficialmente un risarcimento danni di 70mila euro al responsabile. Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up. «Gli infermieri e tutti gli altri professionisti che finiscono nella spirale di ingiustificate e inaudite violenze da parte di cittadini esasperati e in preda, spesso, ad una furia cieca, non si sentono assolutamente tutelati dal Governo, dalle Regioni, dalle Aziende Sanitarie e legittimamente stanno decidendo, ovunque, di difendersi da soli.  Come biasimarli?

In particolare la politica a nostro avviso, “brancola da troppo tempo nel buio” e le aziende sanitarie dimenticano troppo in fretta il proprio ruolo di tutela dell’incolumità psico-fisica dei professionisti. E ci chiediamo ancora perché i professionisti della salute, in questo clima di incertezza e mala cultura, abbiano deciso di intraprendere la strada delle vie legali e difendersi quindi in modo autonomo?, conclude De Palma.

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