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Inchieste

Caso Emanuela Orlandi, il fratello Pietro: “Il mistero si infittisce, i due fascicoli su mia sorella sono entrambi vuoti”

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Nel corso di un programma condotto da Gabriele Raho su Cusano Tv, dedicato al mistero della scomparsa di Emanuela Orlandi, il fratello Pietro ha ripreso le ultime dichiarazioni del deputato Pd Roberto Morassut riguardo la vicenda.

Ecco le sue parole: “Come mai tutti i fascicoli su mia sorella sono vuoti?. La pista del rapimento a scopo sessuale non credo sia scollegata da altre”.

Tuttavia l’attenzione è stata posta soprattutto alla questione del fascicolo vuoto su Emanuela, ritrovato dal giornalista Gian Paolo Pellizzaro presso l’Archivio centrale dello Stato. Si tratta di un faldone intitolato ‘Ministero dell’Interno- Direzione centrale della pubblica sicurezza- U.C.I.G.O.S.-Scomparsa Emanuela Orlandi’.

Tale fascicolo contiene solo la descrizione del suo interno e non gli allegati indicati con il contenuto delle indagini. In particolare sono quattro fogli con il frontespizio recante l’intestazione del fascicolo, e poi tre fotocopie di un faldone di tre volumi con il titolo degli incartamenti, il terzo dei quali fa riferimento genericamente a ‘ritagli stampa’.

Il fascicolo è stato riversato all’Archivio centrale dello Stato nel 2017, ma per un più ampio effetto della Direttiva Renzi del 22 aprile 2014 “per il versamento di documentazione degli Organismi di informazione per la sicurezza della Repubblica al fine di consentire la ricostruzione storica di alcuni dei gravissimi fatti che hanno segnato la storia italiana”, i cosiddetti eventi stragisti, da piazza Fontana al Rapido 904.

Ma allora la domanda sorge spontanea: ‘Perché il fascicolo è vuoto?’. Come spiegato da Simona Greco, responsabile delle Raccolte Speciali, “con la direttiva Renzi c’è stata un’interpretazione restrittiva da parte di alcuni enti che hanno riversato solo i titoli, mentre più correttamente le agenzie di sicurezza hanno dato un’interpretazione estensiva della Direttiva, cioè hanno riversato l’intera serie archivistica che conteneva quella documentazione restituendo così l’intero contesto di quel fascicolo”.

Pertanto, la desecretazione del fascicolo su Emanuela Orlandi potrebbe essere stata solo formale, ma se così fosse il contenuto dovrebbe essere stato custodito dal Ministero degli Interni, di certo non può essere stato smarrito o sottratto, o si tratterebbe davvero di un’irregolare stranezza.

Lo stesso Pietro Orlandi ha così spiegato:

“Qualche anno fa, andando all’archivio di Stato, cercando dei documenti su Emanuela insieme ad uno storico, abbiamo trovato un fascicolo del Ministero degli Interni su Emanuela che era vuoto. Si tratta di un altro faldone, diverso da quello ritrovato dal giornalista Gian Paolo Pellizzaro. Quella cartellina l’ho fotocopiata e consegnata alla commissione d’inchiesta, quando sono stato ascoltato”.

Poi, ha aggiunto: “È vero, quando c’è stata la desecretazione non era obbligatorio trasmettere tutti i documenti all’Archivio di Stato, a cui sono state mandate solo le cartelline senza i documenti contenuti all’interno con la lista di cose che avrebbero dovuto contenere. Se è così il contenuto dovrebbe essere al Ministero degli Interni. Per quanto riguarda la copertina del fascicolo da me ritrovato, feci richiesta per sapere se ci sono al Ministero degli Interni dei documenti su Emanuela, ma mi hanno risposto di no”.

Allora si chiede Pietro: “Ma allora dove sono se non sono nemmeno in archivio? Possibile che tutti i fascicoli su mia sorella siano vuoti?”.

Inchieste

Ecobonus e bonus facciate, sequestro da 7,5 milioni: nei guai tre imprenditori

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Maxi operazione della Guardia di Finanza di Salerno, che ha eseguito un sequestro preventivo di 7,5 milioni di euro nei confronti di una società, con l’accusa di frode fiscale.

Contestualmente, tre persone che rivestivano ruoli apicali all’interno della stessa sono state denunciate per truffa aggravata ai danni dello Stato. Infatti le indagini hanno consentito di individuare crediti fiscali inesistenti generati da lavori edilizi mai eseguiti, connessi ai bonus facciate ed ecobonus.

Inoltre, circa 500mila euro del totale sono risultati estinti, in quanto già utilizzati per le compensazioni: saranno recuperati attraverso la tassazione dell’Agenzia delle Entrate.

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Inchieste

Caos al Parlamento Ue, sotto inchiesta due deputati italiani: ecco i nomi

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Caos al Parlamento Europeo, dove due eurodeputati italiani sono finiti sotto indagine per sospetti rimborsi gonfiati. Si tratta di Giuseppe Ferrandino, ex membro del Pd e ora sindaco di Casamicciola Terme, e Fulvio Martusciello capodelegazione di Forza Italia.

Secondo l’accusa i due avrebbero firmato a vicenda la partecipazione ai lavori parlamentari, quando solo uno dei due era effettivamente presente, per incassare la diaria giornaliera di 350 euro. Inoltre, sono emerse incongruenze anche sui rimborsi dei trasporti.

Pertanto, a notare le irregolarità, è stato un funzionario incaricato di registrare le presenze degli eletti. L’inchiesta è stata avviata dalla Procura pubblica europea su richiesta della giustizia belga, che ha sottoposto i due politici a controlli.

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Inchieste

Soldi e favori in cambio di informazioni per il clan: arrestato un carabiniere

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Nell’ambito di un’inchiesta della Dda di Napoli, è stato tratto in arresto un carabiniere che avrebbe svelato segreti d’indagine ai capi del clan della 167 di Arzano, in cambio di denaro e altri benefit.

Questa è l’ipotesi di reato ascritta all’arrestato, finito in manette insieme ad altre tre persone. Secondo gli inquirenti gli venivano versati un migliaio di euro al mese, nonché somme di denaro tra i 2mila e i 3mila euro periodicamente, oltre a favori fatti come interventi di manutenzione e di carrozzeria per le sue auto e per quelle dei suoi familiari.

Pertanto, stamane, è stata notificata l’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico del 58enne luogotenente dei carabinieri originario della provincia di Caserta, insieme agli altri arrestati: Giuseppe e Mariano Monfregolo, e Aldo Bianco.

Coinvolti anche due fratelli collaboratori di giustizia, indagati a piede libero. Si tratta di persone ritenute dagli investigatori ai vertici del clan della 167 di Arzano, i quali avrebbero versato al carabiniere un mensile da circa mille euro e ulteriori extra in occasione di rivelazioni di segreti d’ufficio.

Tra le contestazioni anche le false relazioni di buona condotta per il boss, quando era sotto sorveglianza speciale, la mancata notifica delle misure cautelari e precautelari e anche il favoreggiamento della fuga e della latitanza per i suoi benefattori.

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