La città di Afragola ancora una volta è costretta ad assistere, con sgomento e amarezza, alla progressiva e ormai evidente trasformazione della tradizionale processione di Sant’Antonio in un evento elitario, esclusivo e, soprattutto, sempre più lontano dallo spirito autentico del Santo dei poveri. Le critiche piovute sui social, le lamentele dei fedeli e l’indignazione che si respira per le strade non sono frutto di semplici malumori, ma il segnale di un malcontento profondo e radicato.
Quest’anno la processione ha ignorato intere zone della città: rione Saggese completamente saltato, diverse periferie dimenticate, un percorso accorciato senza alcuna comunicazione ufficiale e privo di una logica spirituale o pastorale condivisa. In compenso, la Statua si è fermata puntualmente davanti a esercizi commerciali e abitazioni di famiglie “benefattrici”, come se il cammino del Santo fosse guidato non dalla fede, ma dal tornaconto.
Sant’Antonio non è un cartellone pubblicitario
Che la processione serva da sempre anche a sostenere economicamente il convento è noto, ma c’è una differenza abissale tra una questua dignitosa e un pellegrinaggio selettivo guidato dal denaro. Vedere Sant’Antonio omaggiare solo certe zone “ricche” della città mentre ignora altre realtà bisognose è una ferita al cuore del culto. Non si può trasformare il “padre dei poveri” nel “padre dei benefattori”. È una deriva pericolosa, che tradisce l’essenza stessa della devozione popolare.
Il comportamento dei Frati: rigido, autoritario, distante
Molti fedeli hanno raccontato episodi assurdi: imposizioni rigide sul posizionamento durante la processione, divieti incomprensibili persino sullo stare accanto ai propri figli, minacce velate (“o vi sistemate come dico io o il Santo non gira sotto le luminarie”) che nulla hanno a che vedere con il messaggio francescano di accoglienza e comunità. Un atteggiamento che ha fatto percepire i Frati non come pastori tra la gente, ma come funzionari autoritari, distanti, inflessibili.
E il passato che pesa come un macigno
A rendere la situazione ancora più insostenibile è il silenzio che continua ad avvolgere lo scandalo dell’agosto scorso, quando due frati del convento furono arrestati. È lecito chiedersi come mai, dopo un evento così grave, i religiosi ancora oggi alla guida della comunità non siano stati sostituiti. Possibile che nessuno abbia pensato a un rinnovamento, a un cambio di rotta, a un segnale di trasparenza? Perché, invece di ricostruire la fiducia con i devoti, si è scelta la strada del silenzio?
La responsabilità collettiva e la proposta
Certo, un pezzo di responsabilità è anche nostra. Negli anni, abbiamo delegato sempre più ai Frati la gestione della festa, ci siamo abituati a fare offerte solo in Santuario o il 13 giugno. Ma se davvero vogliamo salvare la tradizione, dobbiamo riprenderci la nostra parte. Non si tratta di negare il sostegno economico al convento, ma di vincolarlo al rispetto della festa e della comunità.
Una festa unica, che non può essere mutilata
La festa di Sant’Antonio è un patrimonio di Afragola, un simbolo di unità, fede e partecipazione popolare. Non può diventare una marcia selettiva, né essere usata per premiare chi “paga” di più. Serve coraggio, serve trasparenza, serve un ritorno allo spirito originario. Se i Frati non sono più in grado di interpretarlo, si facciano da parte. Il Santo non appartiene a loro, ma a tutto il popolo. E il popolo merita rispetto.