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L’urlo di Munch: il capolavoro è andato quasi perso. Esiste però un mezzo per recuperarlo

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Negli ultimi anni un nemico invisibile sta distruggendo il famosissimo “Urlo” di Edvard Munch: è l’umidità.

Un team di ricercatori ha scoperto che l’Urlo conservato al Munch Museum di Oslo si sta deteriorando rapidamente, a causa di un pigmento troppo sensibile alla respirazione.

Il distanziamento sociale potrebbe essere una misura di sicurezza utile non solo per gli esseri umani in tempo di pandemia ma anche per le opere d’arte conservate nei musei. In seguito a una serie di studi approfonditi, iniziati nel 2012, i ricercatori del Munch Museum di Oslo hanno infatti avanzato l’ipotesi che il deterioramento rilevato sull’Urlo di Edvard Munch sia dovuto alla respirazione dei tanti visitatori che, ogni anno, per ammirare tutti i particolari del capolavoro dell’artista norvegese, vi si avvicinano un po’ troppo. Delle quattro versioni dell’Urlo, realizzate tra il 1893 e il 1910, due in pastello e due in vernice, questa a rischio è quella che fu rubata nel 2004 e recuperata due anni dopo.

La rappresentazione su tela è attualissima: rappresenta infatti l’ansia e l’angoscia umana, sentimenti con cui in questi mesi abbiamo imparato a convievere.

Le indagini sullo stato di conservazione del dipinto sono iniziate quando i curatori hanno notato che le sezioni gialle del cielo e della figura avevano iniziato a sfumare in bianco.

Per arrivare alla soluzione del caso, i restauratori hanno proceduto analizzando non solo l’opera, attraverso tecnologie di imaging a luminescenza, ma anche i residui di pigmenti conservati in tubetti non finiti dall’artista, conservati nella collezione del museo. Ne è emerso che, durante la reazione chimica per produrre il pigmento del giallo cadmio, la vernice venne contaminata con composti di cloruro, che possono sbiadire e sfaldarsi in condizioni di bassa umidità.

È necessario intervenire nel livello di umidità relativa del museo, oppure isolare il pubblico dall’opera, o l’opera dal pubblico, insomma, si deve fare in modo che i visitatori possano apprezzare il dipinto ma senza respiragli addosso“, ha detto  al Guardian Koen Janssens, professore all’Università di Anversa.

Probabilmente, non fu un processo intenzionale, secondo i ricercatori Munch acquistò semplicemente una vernice non di altissima qualità. Ricordiamo, infatti, che nel 1910 l’industria chimica aveva già iniziato da diversi anni a produrre pigmenti ma questo non vuol dire che ci fosse un accurato processo di controllo qualità. Identici problemi di conservazione potrebbero così riguardare circa il 20% delle opere realizzate tra la fine del XIX e i primi anni del XX secoli.

Il Cnr, Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha però probabilmente trovato una soluzione. La luce di sincrotrone sarà in grado di salvare l’Urlo dall’alterazione causata dall’umidità.

Ciò che andrà evitato, si legge anche sul sito del Cnr, sarà “l’esposizione a livelli di umidità relativa percentuale non superiori a circa il 45%” mentre andrà favorito il “mantenimento dell’illuminazione ai valori standard previsti per i materiali pittorici stabili alla luce, come il giallo di cadmio utilizzato nella tavolozza”. La scoperta, tra l’altro, potrà permettere di esporre l’opera in maniera più costante, dato che finora raramente era stato possibile a causa delle sue delicate condizioni, soprattutto a partire dal 2006, quando il capolavoro è stato esibito in pochissime circostanze, proprio a causa del fragile stato di conservazione.

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