POLITICA

LA CARTA COSTITUZIONALE (Quando aforisma fa rima con cataclisma)

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Imparare a essere italiano significa conoscere almeno in parte la costituzione. So benissimo che molti ne conoscono l’esistenza e che molti altri sono andati almeno una volta dal dottore a chiedere quella di sana e robusta, quella di cui parlo io, però,  è qualcosa che si accosta al sacro, una specie di Bibbia che neanche la più blasfema delle malelingue potrebbe contestare, l’opera prima, lo scritto degli scritti, il numero della perfezione, il tomo più misterioso al mondo;  in poche parole, il libro meno letto della storia dell’umanità!

Qualcuno ha sospettato che possa non esistere, o che la sua esistenza sia solo una favola, oppure che esista ma che venga tenuta segregata in una torre sorvegliata da orde di felini randagi e colombi cagherecci pronti a sferrare l’attacco finale contro chiunque cerchi di impadronirsene.

Il documento in questione è composto da una serie di aforismi  ordinati per tematiche  che dovrebbero servire a meglio tutelare gli abitanti dello stivale (forma voluta dal destino per significare che chiunque la può calzare). Ciò fino a quando Dio, o la sua incarnazione nella veste di un facoltoso politico, non ne decreterà la fine, ma anche in questo caso molti attenderanno il terzo giorno, quello della resurrezione, perché nessuno è più bravo degli italiani a resuscitare ciò che è morto o non ha più senso.

E’ nata nel 1947 e sembra una bambina,  dell’animo fanciullesco conserva l’ingenuità e l’innocenza, la voglia di giocare e, soprattutto, la disponibilità verso chi le offre caramelle.

Essere italiani significa in primo luogo ammirare il grande sforzo sostenuto dai padri costituzionalisti che, di fatto, avviavano un processo di equità (che poco c’entra con equitalia) tra tutti -e dico tutti siori e siore- gli abitanti della novella nazione.
A dire il vero lo sforzo deve essere stato intenso, visto che il lezzo è ancora nell’aria.

La costituzione però non garantiva di per se l’esistenza di uno stato, ci voleva qualcosa che desse ragione almeno al primo articolo dello sforzo: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

Sulla prima affermazione gli italiani si adeguarono subito e si diedero un gran da fare. Ora erano impegnati a trasportare beni dal sud al nord, adesso a portare monnezza dal nord al sud, era un frenetico movimento dall’alto in basso e viceversa,  fino a quando non fu inventato il posto statale che, di fatto, decretò la fine della voglia di lavorare degli italiani.

La seconda parte del primo aforisma fu confortata dalla chiamata alle urne, per il suffragio universale del nuovo parlamento, della spropositata cifra del 2% del popolo italiano. Fu tanto forte l’emozione di questi prescelti che il lezzo dello sforzo dei costituzionalisti fu poca cosa rispetto al miasma che diffusero.
In seguito a questo meraviglioso evento la nostra Patria divenne la culla del Mediterraneo e i suoi abitanti – che nella fattispecie siamo noi – furono colti da un perenne stato di sonnolenza con conseguenze più o meno funeste.  Il torpore giunse al culmine quando, anni e anni dopo, il pubblico televisivo fu folgorato dall’apparizione della farfalla di Belen, l’eroina d’oltre oceano, nota per avere da sempre combattuto  le caste dando pieno appoggio alle meretrici.

Alcuni comici aiutarono i costituzionalisti nella stesura del terzo aforisma della costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Con questo stratagemma si riuscirono a mettere in prigione diversi ladri di polli e a proteggere quei poveracci che truffavano stato e cittadini per necessità.
A molti, però, non piacque la battuta e si affrettarono a ricorrere alle armi della seduzione mediatica, inventando le televisioni libere prigioniere (di chi ci metteva i soldi). Il sistema sembrò funzionare talmente bene che orde di barbari invasero l’etere rendendolo per sempre una terra desolata  priva di qualsiasi frutto che potesse essere commestibile. L’allora governo tirò un sospiro di sollievo quando intere famiglie si sedettero per assistere a “La vita in diretta” e “Verissimo”, chiaro segno che dell’uguaglianza non se ne potevano fregare di meno.

Restarono delle certezze, tra cui le norme transitorie definitive e la profezia dell’avvento di un salvatore sotto le mentite spoglie di un imprenditore televisivo,  che avrebbe fatto della sua missione una cavalcata verso la libertà assoluta a colpi di fiducia al governo, senza però fidarsi molto poiché i parlamentari sono provoloni ma non Galbani.
Il vero salvatore, però, sarebbe stato un tecnico che avrebbe aggiustato (per le feste) la nazione.  Ma questa è un’altra storia, i tecnici, si sa, spesso non rilasciano la ricevuta fiscale e ti lasciano l’elettrodomestico mal funzionante.

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