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L’uomo sparato era morto già nella culla

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Lo hanno freddato sotto casa sua, ma in pratica era morto da quel giorno che aveva accettato di far parte di un sistema che con l’uomo ha poco a che spartire.

Era morto, probabilmente, già nella culla, il giorno in cui i genitori l’avevano battezzato del segno indelebile del possesso materiale, malato di quella febbre che sale ogni volta che il si sente il potere sfuggire dalle mani, quando si crede che con il denaro si può comprare tutto, si tutto, tranne la vita.

Perché quello che è accaduto oggi, dopo uno, due, tre spari, tra l’imbarazzo e la paura di chi è all’oscuro della cosa, non ha potuto comprare l’unica cosa che gli serviva per farlo sentire vivo e cioè la vita.

E i pianti dei parenti, la disperazione di aver perso un caro, quelle grida di rabbia verso se stessi, il battersi il petto in un “mea culpa” inutile e inefficace, niente di tutto ciò è servito a far rialzare un “Lazzaro” ormai passato a miglior vita, i miracoli appartengono al Divino.

Urge una preghiera, per chi resta, per coloro che si affannano a cercare un senso, per chi spera e non dispera, una preghiera che salga al cielo e venga vomitata in terra da quel Dio che ci aspetta sulla linea del traguardo, la fine e il fine di ogni essere vivente, in special modo dell’uomo.

Eppure, quel Dio, ha provato a insegnarci la morte per dare un senso alla vita, così come un bambino impara che scrivere non è fine a se stesso, ma è un’azione per comunicare all’altro emozioni, paure e gioie, così la certezza della fine dovrebbe mitigare l’onnipotenza vana della gloria terrena.

Si muore amici miei, sparati, di malattia, per caso, in un incidente di auto e in innumerevoli avvenimenti che è inutile elencare.

Si muore sempre.

Il difficile è vivere e sentirsi vivi stando al mondo senza prevaricare il prossimo.

Questo è il segreto per non essere sparati mentre si va a comprare le sigarette.

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