Editoriale

Esisteva una volta un sogno, oggi un piccolo partito patronale. Il pensiero di chi realmente ci ha creduto.

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ROMA – Il Movimento 5 stelle nacque per non diventare mai un partito, aveva il compito di risvegliare le coscienze dei cittadini e invitarli ad occuparsi più da vicino della cosa pubblica. Era un movimento basato su una linea orizzontale senza padroni e senza ordini calati dall’alto. Aveva il compito di portare su tutto il territorio nazionale una rivoluzione culturale che potesse far cambiare l’opinione sulla Politica, quella con la “P” maiuscola, quella capace di trovare soluzioni ai problemi della collettività e attuarle. Era un bel sogno e tanti italiani intelligenti se ne innamorarono. Fece accendere speranze nei cuori di chi si sentiva vessato e diede opportunità a tanti inascoltati di far sentire la propria voce. Nel 2013 erano tanti i gazebo aperti la domenica in tutta Italia e tanti erano gli attivisti che gridavano al cambiamento. Quel cambiamento basato su poche e semplici regole inderogabili ma che col tempo e la bramosia di potere di alcuni eletti che fino a ieri elemosinavano un incarico o impiego sono via via scomparse fino a far restare in piedi l’ultima, quella del doppio mandato. Anche quest’ultima destinata a svanire dopo il referendum comparso oggi online su Rosseau e che sarà votato dalla maggior parte di iscritti che col vero Movimento 5 stelle non hanno nulla a che vedere.

Al tempo anch’io mi innamorai di quel sogno, di quelle regole che davvero tracciavano una linea netta tra la voglia di cambiamento e i partiti tradizionali che nei fatti avevano portato alla svendita della nostra cara nazione. Ma a differenza di qualcuno che cercava e cerca ancora un posto al sole in perfetto stile Di Maio, me ne accorsi quasi subito che il Movimento era fatto e costituito da uomini, quegli stessi uomini che dovevano aprire il Parlamento come una scatola di tonno ma quando hanno visto i lampadari sbrilluccicanti e le poltrone del potere così morbide da poterci stare seduti una vita intera, hanno preferito farsi insaccare come delle sardine. Le cose cominciarono a deragliare subito, nel 2015 con la lettera Fico-Di Battista il Movimento 5 stelle tagliò letteralmente i rapporti con la base, segando di fatto i pioli di quella scala che ha consentito l’attuale casta pentastellata di assurgere ai piani alti del comando direttamente dalle piazze.

Le persone più perspicaci, quelle che realmente non si aspettavano nulla in cambio, se ne sono accorti del cambiamento già dalle vicende di Quarto, quando quella sera erano riuniti tutti nella cittadina flegrea, dai semplici attivisti fino ai senatori e deputati pentastellati. Tutti a dare man forte e solidarietà alla sindaca che nel frattempo era stata presa di mira dai mass media nazionali. Quando tutto ad un tratto, come un fulmine a ciel sereno, viene calato dall’alto il primo diktat della storia grillina. Il trio Fico-Di Battista-Di Maio di concerto col garante Beppe Grillo imposero alla sindaca Rosa Capuozzo di dimettersi. All’epoca nelle mire del Movimento 5 stelle c’erano traguardi più ambiti da conquistare rispetto ad un piccolo Comune della Campania, bisognava prendersi Roma se si voleva un domani governare.

Ma chi ha mai detto che il Movimento 5 stelle dovesse governare? Il Movimento era nato solo per attuare una rivoluzione culturale, la rivoluzione gentile la chiamavano. Ora di gentile sono rimasti solo i conti in banca degli eletti, gli stessi che si sono anche dimenticati come si restituiscono i soldi. Addirittura esisteva una piccola regola che al sottoscritto piaceva tanto: “laddove in un territorio ci fosse un’amministrazione che funzioni bene, il Movimento 5 stelle non avrebbe avuto ragion di esistere”. Anche quest’aforisma è andato a farsi benedire per colpa della corsa alla candidatura e la voglia di riscatto sociale di tutti quei frustrati che nell’arco del tempo hanno costituito l’adesione media al partito pentastellato.

E così piano piano si è passati dall’uno vale uno ad avere un capo politico, dal non fare nessuna alleanza ad allearsi con la Lega prima e col PD poi, ai referendum su Rosseau già preconfezionati della serie: “Il palazzo lo dipingiamo verde oppure giallo mischiato al blu?” Fino ad arrivare ad oggi, dove si sta tentando di buttare a terra l’ultimo caposaldo rimasto in piedi di quel vecchio Movimento di cui sono rimaste solo le briciole. Ossia abolire la regola dei due mandati e permettere agli eletti del Movimento di candidarsi per sempre, sempre tra le file del partito pentastellato e visto che ci siamo, ci hanno aggiunto anche il quesito per scegliere se il Movimento si possa alleare con i partiti tradizionali oppure no.

Una domanda più ipocrita di questa il capo politico fantoccio Vito Crimi non la poteva concepire, visto che il partito a livello nazionale, da esempio e di fatto, ha già abolito questa regola nel 2018 alleandosi con la Lega. Quindi di cosa vogliamo parlare? Possibile che chi andrà a rispondere a questa domanda non si accorge della presa per i fondelli? Allora la riflessione sorge spontanea: è questo l’elettorato che cerca o che ha sempre cercato il Movimento 5 stelle?

I due quesiti di cui si vota oggi su Rosseau invece hanno una doppia valenza. Il primo, quello dell’abolizione del secondo mandato permetterebbe a Virginia Raggi di ricandidarsi di nuovo a Sindaco di Roma e visto che come scritto prima già dal 2015 si è tagliato la possibilità di creare nuovi eletti presi direttamente dalla base, la sindaca uscente rappresenta l’unica alternativa a se stessa all’interno del Movimento. Dal canto suo Virginia Raggi ha già ha ricevuto l’endorsement del vero e unico capo politico Luigi Di Maio detto Giggino che davanti ai microfoni dei mass media nazionali ha dichiarato: “Perdere Virginia Raggi alle prossime elezioni vorrà dire perdere una grande risorsa per il Movimento”.

E per secondo: lo sguardo del caro Giggino non è puntato solo su Roma, la sua attenzione è rivolta anche alla sua città natia Pomigliano d’Arco – e da quando il Movimento ha cominciato a prendere sempre più le sembianze di un partito patronale con tanto di prebende e incarichi partiti o arrivati a quelle latitudini è stata ribattezzata “Pomigliano d’Arcore” – infatti col secondo quesito si darebbe via libera al Movimento 5 stelle di fare alleanze con i partiti tradizionali con la possibilità di entrare o creare coalizioni anche per le amministrative. A Pomigliano, indiscrezioni vogliono che Di Maio e il suo scudiero fedele e fidato Dario De Falco – quest’ultimo candidato sindaco – stiano già a lavoro per una coalizione formata da dieci liste con all’interno PD e Italia Viva, il che permetterebbe a De Falco la vittoria al primo turno e piazzare la bandierina del Movimento 5 stelle all’ex Convento del Carmine.

Insomma a quello che assistiamo oggi non è quel movimento che doveva portare la rivoluzione culturale in Italia ma la sua involuzione che l’ha portato, in termini di grandezza ed importanza, a diventare l’infinitesima parte di quello che doveva essere. Oggi infatti non è altro che un mezzo per soddisfare la voglia di riscatto di un ex precario. Con la buona pace del popolo ignorante che ancora crede all’asino che vola. Qui di asini, invece, si vedono solo di quelli al Parlamento e mi dispiace per chi ci crede ancora, ma la maggior parte di quelli portano la spilla a cinque stelle in petto.

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