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Caivano

Maurizio Patriciello l’eroe a mezzo servizio che svicola le responsabilità e tira in ballo la criminalità a proprio uso e consumo.

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CAIVANO – L’avevo previsto subito all’indomani della sua lettera aperta alla Premier Giorgia Meloni (leggi qui)

Non si può applicare la legalità dei due forni, non ci si può ergere a garante delle povertà e sottrarsi al momento opportuno, quando ci si accorge di non essere l’esecutore materiale delle promesse fatte o paventate.

Queste sono le conseguenze che qualsiasi personaggio politico è abituato a prendersi laddove risulta mancante delle promesse effettuate in campagna elettorale.

Attenzione per promessa non vuol dire per forza “voto di scambio” o “rassicurazione esplicita” ma la promessa per una comunità si può tradurre semplicemente nell’immagine che il politico, in quel periodo storico, anche attraverso la propaganda di un programma elettorale, crea di sé per poter offrire attraverso la stessa, sicurezza e soluzioni su determinate problematiche.

Sono le stesse conseguenze che deve prendersi qualsiasi cittadino, prete, pastore o ateo che intende riempire i vuoti lasciati dalle istituzioni.

È indubbio il fatto che oggi il maggior interlocutore politico sul territorio caivanese è Maurizio Patriciello, così come è indubbio il fatto che chi è afflitto da un problema o da una difficoltà, dopo tutte le passerelle, le strette di mano e le promozioni di amicizie attuate dal prelato, vede lo stesso come una scorciatoia per arrivare al potere e poter risolvere i propri problemi.

Il dilemma si presenta quando non si devono risolvere problemi di ordinaria amministrazione, la questione nasce quando si chiede di risolvere problemi legati all’illegalità. Come quello delle occupazioni abusive al Parco Verde.

E la lettera aperta scritta a Giorgia Meloni è stata una vera e propria presa di responsabilità da parte di Maurizio Patriciello.

Cosa abbia preceduto quella lettera nessuno lo sa. Cosa abbia spinto il don a scrivere apertamente alla Premier non lo possiamo sapere ma una cosa è certa. La redazione e la conseguente pubblicazione di quella lettera è stata una risposta ai tanti richiedenti aiuto.

Un atto simbolico che ha fatto riporre speranze in tutte quelle persone che lui stesso nella lettera definiva povere ma oneste, vittime della camorra e di uno Stato latitante.

Oggi, improvvisamente quelle stesse persone, sono diventate camorriste e a cui una di loro si è andati anche a scavare tra le parentele creandone un fumus – dato che è risultata essere moglie di un pregiudicato – su cui tutta la Stampa doveva porre l’accento.

Certo! Dal Parco Verde non possiamo pretendere che vengano a protestare o a scendere in piazza, professionisti, medici e magistrati. La qualità umana a cui è sottoposto al confronto quotidiano, il prete Maurizio la conosce bene ed è proprio per questo che nella vita bisogna fare delle scelte: essere un semplice prete di periferia, confessare le anime e offrire il corpo di Cristo per una salvezza ultraterrena o fare politica sul territorio, occupando gli spazi vuoti lasciati dalle istituzioni, e dare risposte alla comunità che si intende salvare. Ovviamente con la consapevolezza che le risposte si possono dare quando si è in grado di poterle dare.

Perché come diceva Peter Parker – alias Spiderman – da grandi poteri derivano grandi responsabiltà. Non si può pretendere di diventare persone di potere, determinare l’andamento socio-politico di un’intera comunità per poi svicolare le responsabilità che quel potere, volente o nolente, fa omaggio.

Allora è comodo così. Fare l’eroe a mezzo servizio. Sbandierare ai quattro venti richieste di legalizzare l’illegalità e al momento opportuno, date le difficoltà, etichettare tutti come camorristi e continuare a trarre benefici mediatici.

Ovviamente, io che sono dalla parte della legalità sempre, spero che il Governo e la Premier Meloni non tengano conto di preghiere, ricatti e minacce e tirino avanti per la loro strada con censimento e sgomberi per chi è sine titulo. Al Dio che deve aiutare i poveri ma onesti ci penseremo qualche altro giorno.

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CAIVANO. L’altare come cabina elettorale. La laicità tradita e il peso dello stigma sull’intera comunità

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CAIVANO – L’incontro pubblico tra i tre candidati a Sindaco di Caivano – Antonio Angelino, Rosaria Peluso e Giovanni Vitale – tenutosi ieri nel Santuario della Madonna di Campiglione, per volontà del vescovo Monsignor Angelo Spinillo, non è un evento di routine, ma un sintomo preoccupante. È la manifestazione palese di una confusione di ruoli che, nel delicato momento pre-elettorale, rischia di compromettere la laicità della politica locale, un principio cardine dello Stato democratico e l’unico baluardo per la tutela di tutti i cittadini, credenti e non.


La Politica Laica: Un interesse di tutti

La laicità dello Stato italiano non è un principio antireligioso, ma una garanzia di libertà e uguaglianza. Come sosteneva lucidamente Norberto Bobbio, uno dei padri del pensiero politico laico in Italia, la laicità è l’atteggiamento di chi “non si sente depositario di verità ultime” e riconosce la pluralità delle visioni. Un politico, in un contesto laico, è chiamato a legiferare e amministrare nell’interesse generale, basandosi su principi di giustizia sociale, diritto ed economia, non su dettami di fede.

L’etica pubblica deve restare distinta dalla morale religiosa. Quando i futuri amministratori di una città scelgono l’altare come palcoscenico per un confronto politico cruciale, stanno implicitamente accettando una legittimazione che non deriva primariamente dal consenso popolare e dalla piattaforma programmatica, ma da una benedizione ecclesiastica. Questo invia un messaggio distorto: che la politica a Caivano sia fatta primariamente da e per chi ha fede, concedendo alla Chiesa una strada preferenziale nell’orientare le scelte della comunità.


Il “Modello Caivano” e il rinforzo dello stigma

Questa ingerenza, o almeno l’accettazione passiva di essa da parte della classe politica, non è un fatto isolato. Si inserisce in un contesto dove il ruolo della Chiesa (pur con le sue lodevoli intenzioni sul piano sociale) è stato strumentalizzato in modo massiccio per legittimare l’intervento statale eccezionale.

Il tristemente noto “Modello Caivano”, con il suo carico di misure securitarie e commissariamenti, non ha portato una rinascita strutturale, ma ha acclarato e rinforzato lo stigma di “periferia pericolosa” e irrecuperabile. L’eccessiva enfasi sul ruolo suppletivo dell’istituzione ecclesiastica ha finito per affibbiare una univoca e immotivata etichetta criminale a tutta la comunità caivanese, riducendo la complessità sociale, economica e culturale della città a un mero problema di ordine pubblico e di assenza morale.

Questo modello, percepito come una soluzione “dall’alto” e spesso non concertata, ha marginalizzato le forze politiche e civiche laiche e progressiste, quelle che invece avrebbero dovuto tutelare gli interessi di tutti attraverso il canale democratico e laico.


La debolezza dei candidati e le vecchie logiche di potere

Ciò che emerge con forza è la debolezza politica dei tre candidati a Sindaco. La loro partecipazione acritica a un evento che fonde il sacro con il profano dimostra una preoccupante riluttanza ad opporsi a un pensiero massificato e a vecchie logiche di potere intrise di religiosità e conservatorismo sociale.

I candidati, pur di non incrinare rapporti o non andare controcorrente in un contesto che premia la sottomissione al paravento ecclesiastico, si lasciano trasportare in iniziative che, lungi dall’arricchire il dibattito democratico, ledono proprio all’interesse di una comunità che ha un disperato bisogno di una politica forte, autonoma e laica. Una politica che non cerchi benedizioni, ma soluzioni pragmatiche per il lavoro, la scuola e la legalità.

Questo atteggiamento di acquiescenza era, peraltro, tristemente prevedibile. Per quanto riguarda la coalizione che i sondaggi indicano come favorita, come ho avuto modo di recitare nel mio editoriale al Teatro Burlesque martedì scorso, la sottomissione al paravento ecclesiastico era già stata prevista come una strategia per consolidare il consenso senza affrontare il vero nodo: la necessità di un’azione politica radicalmente nuova e laica.

Caivano non ha bisogno di essere redenta da un pulpito, ma di essere governata con onestà, laicità e visione prospettica. Solo una politica che si esercita nel pieno rispetto della separazione tra Stato e Chiesa può assicurare che ogni cittadino, indipendentemente dalla sua fede o dalla sua assenza di fede, abbia i propri diritti e interessi pienamente tutelati.

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CAIVANO. Angelino, l’evento dell’opportunismo e la sagra del “Sì, grazie”

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A CAIVANO, la politica ha trovato il suo maestro di cerimonie, l’uomo che, più che un candidato sindaco, sembra un cameriere di lusso pronto a servire al tavolo di ogni ospite, indipendentemente dalla casata: Antonio Angelino. Già Segretario del PD cittadino – una tessera che oggi sembra più un tatuaggio sbiadito che un vessillo – Angelino si presenta con una coalizione civica così “fluida” da sembrare acqua minerale.

Questa sua disinvoltura, questa sua capacità di dire “Sì, grazie” a ogni invito, a ogni stretta di mano, a ogni ideale (che sia esso di destra, sinistra o terra di mezzo), lo ha consacrato a Campione Italiano del Conformismo.

  • Un Amico per Tutte le Stagioni (e per Tutti i Partiti)

Angelino non è un politico, è un prismatico ideologico. È capace di riflettere ogni colore gli sia puntato contro.

  • L’Abbraccio Meloni: Quando il Governo ha calato il “Modello Caivano” con annesso decreto (che per i puristi del Diritto ha le stimmate dell’incostituzionalità), mentre molti compagni di un tempo si stringevano la pancia per l’indigesto provvedimento, lui ringraziava. Un gesto che, tradotto dal politichese, suona come: “Grazie, Presidente, per l’intervento. Sebbene non sappia bene cosa pensi del merito, l’importante è che se ne parli, e che io sia qui, in prima fila.”
  • La Cena con l’Amico di Sinistra: Contemporaneamente, Angelino si siede a cena con il suo testimone di nozze, l’Eurodeputato PD Lello Topo. Un gesto che non solo testimonia l’amicizia personale (sacrosanta), ma che serve anche a strizzare l’occhio alle “anime belle” del centrosinistra che ha intelligentemente candidato nelle sue liste civiche. Un perfetto equilibrio tra fidanzata ufficiale (il PD storico) e amante clandestina (la destra in ascesa).
  • Il Gran Finale (Il Roseto e FdI): Il capolavoro del trasformismo si è consumato giovedì scorso. All’Hotel Il Roseto, Angelino non era lì per un matrimonio o una comunione; era al fianco di Adamo Guarino, candidato al Consiglio Regionale per Fratelli d’Italia. Sì, FdI, il partito che sta alla destra della destra. La foto lo inchioda: lui, l’ex Segretario PD, che arringa la folla davanti al logo del partito di Giorgia Meloni. Una prova fotografica che vale più di mille promesse e che dimostra che l’ideologia è, in fondo, solo una questione di logistica degli appuntamenti.

Il Silenzio Assordante sul Decreto:

La sua camaleonticità raggiunge l’apice quando si parla del famigerato “Decreto Caivano”. Angelino ha mantenuto un silenzio così assordante da far sembrare una mosca il rumore di un motore d’aereo. Non ha preso posizione, non ha criticato i vulnus costituzionali, non ha difeso (o attaccato) l’approccio repressivo. Perché? Semplice: il silenzio è l’arma preferita dell’opportunista. Ti permette di non scontentare nessuno, di non bruciarti i ponti, e di presentarti, a seconda del vento, come l’uomo del fare (se il decreto funziona) o la vittima delle imposizioni (se il decreto fallisce). Un vero maestro di scherma politica che para ogni colpo non muovendo un muscolo.

La Domanda da un Milione di Voti

Caro Antonio Angelino, Caivano non è un catering dove si può mangiare un giorno il cinghiale alla destra e il giorno dopo i tortellini in brodo alla sinistra.

L’uomo che ambisce a guidare una comunità così complessa deve spiegare ai suoi candidati di sinistra e a tutti gli elettori che gli hanno creduto:

1. Da che parte batte il suo cuore (politico)? È lei il “nuovo” centrosinistra che strizza l’occhio alla Meloni per pragmatismo, o è un commissario politico di Fratelli d’Italia con la nostalgia del PD per mera comodità?

2. Cosa ci faceva giovedì sera al Roseto? Ha spiegato ai suoi candidati inguaribilmente di sinistra (che lei ha onorato di candidare) il motivo della sua presenza sotto l’insegna di Adamo Guarino (FdI)? Ha giustificato che non si trattava di appoggio politico, ma solo di un caffè tra amici? Se la sua coalizione è “civica”, non può permettersi di fare l’agente immobiliare dei voti, spostando pacchetti di preferenze dall’area progressista all’estrema destra in base alle convenienze del momento.

Angelino è chiamato a far cadere la maschera della “disponibilità a tutti i costi”. La comunità che lei vuole amministrare ha diritto di sapere chi è veramente il suo sindaco.

È ora di scegliere. O si sta al Roseto con Adamo Guarino, o si sta con il testimone di nozze PD. Stare in entrambe le sale è il modo più elegante per far sapere a Caivano che l’unica ideologia di Angelino è l’Angelinismo.

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A CAIVANO L’etica è un lusso! La sfera morale e la corsa elettorale dei tutti dentro!

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CAIVANO – La lista degli “impresentabili” della Commissione parlamentare antimafia, pubblicata a pochi giorni dal voto a Caivano, non è un mero elenco burocratico: è un monito, un severo richiamo al concetto basilare che dovrebbe reggere la partecipazione alla res publica. Quando i nomi di Giuseppe Gebiola, Pierina Ariemma, Antonio De Lucia e Pasquale Mennillo finiscono sotto i riflettori, il dibattito non può e non deve limitarsi alla sola legalità formale, ma deve innalzarsi al livello, molto più esigente, dell’etica e della morale pubblica.

Il Codice di autoregolamentazione delle candidature è stato concepito proprio per questo: per superare la visione minimalista del “non ho ancora una condanna” e innalzare l’asticella. L’integrità morale di un aspirante politico non è un optional, ma il prerequisito fondamentale per chiunque voglia dedicare il proprio tempo e la propria azione alla cura degli interessi collettivi. Chi si candida a governare una comunità deve essere al di sopra di ogni sospetto, non solo per rispettare la legge, ma per meritare la fiducia dei cittadini.

Il “Carico Pendente” e la Sfera Privata di Gebiola

Il caso di Giuseppe Gebiola, che con una lunga nota si difende dalla dichiarazione di impresentabilità, merita un approfondimento per l’acrobatica distinzione che tenta di operare. Gebiola ammette la pendenza di un procedimento penale risalente a circa dieci anni fa, legato al suo ruolo di controllo contabile in una società privata, ma nega qualsiasi rilevanza etica e morale per la sua candidatura.

La sua argomentazione ruota intorno a due concetti cardine: la mancanza di una condanna definitiva e l’estraneità dei fatti alla gestione della cosa pubblica.

“La mera pendenza di un procedimento penale, soprattutto per fatti che non attengono direttamente alla gestione della cosa pubblica ma all’esercizio di una professione privata, non dovrebbe di per sé costituire elemento sufficiente per una valutazione di impresentabilità.”

Ecco la seria stilettata che non può mancare: l’idea che un illecito – presunto o accertato – commesso nella sfera privata non intacchi l’idoneità etica per la sfera pubblica è pericolosa e insostenibile. Con lo stesso distorto metro, dovremmo forse ritenere che camorristi, assassini o stupratori, i cui reati non si consumano nelle stanze dell’amministrazione comunale, siano automaticamente candidati eticamente integri per un incarico pubblico? Assolutamente no! Il reato è una rottura del patto sociale, e l’etica non ha un interruttore che si accende o si spegne a seconda del luogo di lavoro. L’integrità è un valore olistico che riguarda la persona nella sua interezza.

Ma c’è un altro aspetto che rasenta l’incoscienza politica. Gebiola afferma che il procedimento si concluderà a gennaio 2026. Cosa accadrebbe se in quella data, a distanza di un mese o due dall’insediamento, un giudice decidesse per una condanna in primo grado? Il neo-eletto consigliere Gebiola si troverebbe costretto a difendere una posizione legale compromessa mentre ricopre una carica pubblica. Non solo, ma l’intera Amministrazione di Caivano si troverebbe ad affrontare una nuova, penosa, e mediatica, grana giudiziaria.

L’etica e la morale impongono di non candidare il rischio alla cosa pubblica. L’onestà intellettuale, di cui Gebiola si fa paladino, dovrebbe spingerlo a rimuovere ogni ombra per il bene superiore della collettività.

Il Silenzio, Talvolta, è d’Oro

I quattro candidati, pur con le loro diverse motivazioni (per Ariemma, De Lucia e Mennillo il legame con la giunta sciolta per ingerenze criminali, per Gebiola il carico pendente), rappresentano un fronte comune: la volontà di non rinunciare.

Se l’intenzione di Gebiola e degli altri era comunque quella di proseguire nella corsa elettorale, forse avrebbero fatto meglio a seguire l’esempio di Pasquale Mennillo, che tra i quattro dichiarati impresentabili, non ha rilasciato alcuna dichiarazione pubblica. Il tentativo di giustificazione, infatti, ha sortito l’effetto opposto, amplificando il rumore e la distrazione su una questione che, in una città che cerca la rinascita, dovrebbe essere risolta nel modo più limpido possibile: un passo indietro, per il bene di tutti.

La parola finale spetta ai cittadini di Caivano: devono riflettere attentamente su quale tipo di leadership desiderano. Una che antepone l’ambizione personale alla trasparenza assoluta, o una che fa dell’integrità morale la sua bandiera, senza se e senza ma.

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