AFRAGOLA è ormai lo specchio deformato della politica a nord di Napoli, dove le parole hanno perso peso e le azioni, anche le più insignificanti, diventano teatro di convenienza e di sopravvivenza. Le dimissioni del sindaco Antonio Pannone, giunte dopo le pressioni interne, non rappresentano solo la fine di un’Amministrazione: raccontano il tramonto morale di un’intera classe dirigente.
La crisi di maggioranza è stata raccontata ai cittadini come un atto di responsabilità, una reazione alla “scarsa mobilità” e alla “limitata capacità di problem solving” della giunta. Ma dietro questa narrazione si nasconde la verità amara: la dissoluzione di un gruppo politico che per tre anni ha vissuto nel silenzio più totale, approvando ogni delibera senza mai sollevare un dubbio, senza mai accendere un serio dibattito in Consiglio comunale. Una maggioranza distinta per il suo mutismo selettivo, capace di dormire sonni tranquilli finché il vento spirava nella direzione giusta, e improvvisamente risvegliatasi quando ha fiutato l’odore acre della fine dovuta al sordo impatto della chiusura di una cella del carcere di Larino.
È la stessa maggioranza composta da consiglieri che hanno cambiato più casacche che mutande, che hanno fatto della convenienza la loro ideologia, della fedeltà a intermittenza la loro unica coerenza. In Consiglio comunale, chi possiede il dono della favella ha difeso l’Amministrazione mutando pensiero a seconda del gusto della pagnotta, mentre chi non ha mai pronunciato una parola – perché nella vita al massimo ha scritto un bigliettino d’auguri per il fidanzato a Natale – oggi si presenta con un saggio tra le mani, mettendo in discussione l’operato di un sottosegretario di governo.
È il paradosso della politica locale: chi non sa leggere un bilancio si erge a censore di chi ha amministrato, chi non ha mai proposto nulla si scopre improvvisamente intellettuale di piazza.
Una maggioranza ignorante e silente, che ha perso la bussola – e con essa il proprio punto di riferimento – ora vaga confusa, facendosi trascinare da interessi che nulla hanno a che vedere con il bene pubblico. C’è chi, nel disorientamento, si è lasciato ammaliare dagli imprenditori che preferiscono perdere gli appalti piuttosto che gestirli, perché nel risarcimento il guadagno è più comodo e pulito.
E così, mentre Afragola affonda nei problemi quotidiani dei cittadini, i consiglieri comunali invece di portare in aula le istanze dei cittadini, tirano la giacca al sindaco per ottenere un tozzo di pane, lo stesso pane che fino a ieri non potevano neanche nominare, accontentandosi delle briciole cadute dal tavolo del potere.
Ma se la maggioranza rappresenta l’immagine della decadenza, l’opposizione non offre certo uno spettacolo migliore. Ha trascorso tre anni non per controllare, proporre o vigilare, ma per scavare nel fango, sperando di trovare la pepita giudiziaria con cui colpire l’Amministrazione. Invece di costruire un’alternativa credibile, ha preferito dedicarsi al lavoro sporco – sporco nel vero senso della parola – dell’insinuazione, del sospetto, della speranza che un giorno la magistratura bussasse alle porte del Comune per arrestare il Sindaco o il suo vice.
È l’opposizione dello scoop giudiziario, quella dei saltimbanchi che confondono la politica con il gossip, la denuncia con la calunnia, e che in tutti questi anni non è mai riuscita a costruire una classe dirigente capace di rappresentare davvero una svolta per Afragola ma ha sempre e solo puntato alla sostituzione del potere.
Tutta questa riflessione trova una sintesi perfetta nelle parole del Sindaco Pannone, che con le sue dimissioni ha dato voce – consapevolmente o meno – alla stessa diagnosi di decadenza politica. Quando afferma che Afragola “merita una Politica e un’Amministrazione che siano in grado di orientare le sinergie finalizzate alla risoluzione delle problematiche dei cittadini, senza perdersi negli sterili tatticismi di palazzo e negli stravaganti personalismi”, fotografa esattamente il clima di questi mesi: una città ostaggio di giochi di potere e ambizioni personali. E quando aggiunge che “la libertà di giudizio e la dignità dei modelli comportamentali non consentono compromessi e soluzioni pasticciate”, si percepisce il peso di chi, circondato da opportunismi e da “scorciatoie” indegne, ha scelto di tirarsi fuori piuttosto che piegarsi.
Il suo richiamo alla serietà, al rigore e alla coerenza è la condanna più lucida della mediocrità che oggi permea il Palazzo di Città.
Il Consiglio comunale di ieri, con la bocciatura del DUP e la sfiducia al Presidente Castaldo, non è stato un atto politico: è stato un funerale, quello della credibilità della politica cittadina. Una politica che non discute, non progetta, non sogna. Che sopravvive per inerzia, si spacca per interessi e si autodistrugge per fame di visibilità.
E mentre la città assiste attonita a questa rappresentazione tragicomica, resta un’unica certezza: Afragola non merita tutto questo. Non merita consiglieri muti o trasformisti, né oppositori che gioiscono delle disgrazie altrui. Merita una politica che torni a parlare con i cittadini, non sopra di loro. Una politica che torni ad essere servizio, e non mestiere.