

Sanità
Sanità, ridusse una giovane in fin di vita: sospeso chirurgo
Il gip di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) ha disposto il divieto di esercitare la professione sanitaria per un chirurgo bariatrico operante in diverse strutture sanitarie convenzionate col servizio sanitario nazionale. Il divieto ha la durata di 12 mesi. La misura cautelare è stata disposta dal gip di santa maria capua vetere per i reati di omicidio colposo e di falso in atto pubblico ed è stata notificata anche agli organi competenti per la sospensione dall’esercizio della professione in via ordinaria.
Il provvedimento era stato richiesto dalla procura di Santa Maria Capua Vetere all’esito di una indagine avviata a seguito della denuncia di Angela Iannotta, paziente che era stata operata più volte dall’indagato, e che aveva subìto in conseguenza dell’intervento lesioni gravissime che ne avevano messo in pericolo la vita; a questa denuncia seguiva la denuncia dei familiari di Francesco Di Vilio, deceduto a seguito di un intervento effettuato dal chirurgo indagato. Dalla procura è stato quindi affidato un incarico di consulenza tecnica a collegio di medici specializzati per accertare le cause delle lesioni gravissime e della morte delle due persone offese.
“Ad esito degli accertamenti – si legge nel documento firmato dal procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere Carmine Renzulli – si è acclarato che la condotta negligente e imperita del chirurgo, posta in essere anche nelle fasi successive agli interventi effettuati sui pazienti, è stata la causa delle lesioni occorse ad Angela Iannotta e del decesso di Francesco Di Vilio.”. Il chirurgo “ha altresì alterato la cartella clinica della paziente A.I., falsificando la firma della stessa in calce al consenso formato precedente l’operazione”.
campania
Carenza di infermieri al carcere di Salerno, la Fials provinciale chiede interventi urgenti

Criticità dell’Unità Tutela Salute Adulti e Minori Area Penale nel carcere di Salerno, con attenzione particolare alla carenza personale infermieristico. La Fials Salerno chiede chiarimenti all’Asl salernitana. “Il sindacato, tenuto conto del Piano triennale di fabbisogno di personale e della specifica normativa di riferimento regionale e sulla scorta delle risultanze del Piano, con riferimento alla qualifica di Infermiere, risulta attestata una capacità assunzionale, con contestuale carenza di dipendenti in questo ruolo.
Tale condizione risulta ulteriormente aggravata a casa di numerose assenze che si registrano quali permessi, comandi, dimissioni, molte delle quali mai sostituite nonostante i disagi continuamente segnalati dalla scrivente. La presenza di infermieri oltremodo sottodimensionata ed impossibilitata, suo malgrado, a garantire al meglio l’assistenza sanitaria nell’arco delle 24 ore giornaliere. Come contraltare, ovviamente, c’è un crescente sovraffollamento di detenuti”, hanno detto Carlo Lopopolo, segretario generale della Fials Salerno, e Giovanni Pepe, dirigente sindacale della Fials Salerno.
Presso il carcere di Salerno si registra la presenza di 520 detenuti a fronte di una struttura che potrebbe contenerne 399. A fronte di un crescente sovraffollamento di detenuti all’interno delle strutture penitenziarie si assiste ad una altrettanto crescente riduzione degli organici dei professionisti sanitari e sociosanitari all’interno degli stabilimenti di pena in grado di garantire una puntuale e adeguata tutela della salute delle persone recluse. Quest’ultimi, per la Fials provinciale, necessitano di terapie e di cure anche per il disagio psicologico, per le dipendenze, per le forme di autolesionismo nonché per la prevenzione dal suicidio, fenomeno, purtroppo, in crescita esponenziale.
“Il personale infermieristico attualmente in servizio, numericamente ridotto è costretto ad assolvere in prevalenza l’assistenza sanitaria ai reclusi, affrontando un carico di lavoro enorme per il quale rischiano il burnout, processi assistenziali che vengono portati avanti sola grazie allo spirito di abnegazione e alla professionalità riscontrata nella loro attività. A questa carenza di personale, come sindacato vogliamo segnalare ulteriori criticità quali ad esempio la mancata presenza del marcatempo all’ingresso degli Istituti Penitenziari, questi sono collocati all’interno dell’area sanitaria di pertinenza.
Si precisa che per raggiungere l’area sanitaria si riscontrato tempi di attesa e/o percorrenza calcolati tra i 7 e 10 minuti, ovviamente, questi sono frangenti non registrati dal marcatempo e pertanto regolarmente “regalati”, dai dipendenti, in quanto non retribuiti nonostante gli stessi dipendenti risultino già fisicamente in servizio, a disposizione della struttura. Inoltre, si rappresenta l’assenza di locali idonei destinati a spogliatoio per gli operatori afferenti all’interno dell’area sanitaria di pertinenza, come da normativa vigente. Ecco perché la Fials chiede l’istituzione, con la partecipazione delle rappresentanze sindacali, di un “tavolo di lavoro sulla Salute nelle carceri”, attraverso il quale esaminare l’intera problematica ed individuare le opportune soluzioni.
A tal proposito si chiede un immediato reclutamento di personale atto a garantire i livelli essenziali di assistenza all’interno degli istituti penitenziari, tale da garantire il ripristino della dotazione minima, calcolando che ad oggi non sono garantiti i livelli minimi in caso di sciopero che comunque la direzione dell’Asl Salerno dovrebbe prevedere per ciascun servizio assistenziale. Riteniamo assolutamente improcrastinabile, inoltre, prevedere e stabilire una definizione adeguata degli standard di personale sanitario e sociosanitario in relazione al numero e tipologia dei detenuti, oltra alla garanzia del supporto psicologico di chi opera nei penitenziari, nonché alla specifica formazione e aggiornamento professionale per chi opera nelle carceri, per concludere con l’individuazione di forme di retribuzione di indennità e di risultato per i professionisti sanitari e sociosanitari operanti negli stabilimenti di pena”, hanno concluso Lopopolo e Pepe.
Salute
Ospedale Monaldi, rimosso tumore alla laringe col laser CO2: paziente potrà parlare senza corde vocali

-NAPOLI- All’ospedale Monaldi di Napoli è stato portato a termine con successo un delicato intervento di rimozione di un raro tumore, un carcinoma della laringe in stadio avanzato, consentendo al paziente di riprendere a parlare senza corde vocali. Un altro successo che conferma l’eccellenza della sanità partenopea e campana
L’operazione è stata eseguita presso l’Unità operativa complessa di Otorinolaringoiatria diretta dal dottor Giuseppe Tortoriello, specializzato nell’utilizzo di tecniche innovative e mininvasive per la rimozione dei tumori del tratto testa-collo.
Al paziente, un 70enne affetto da un carcinoma sarcomatoide della laringe in stadio avanzato, il tumore è stato rimosso con una fibra laser a CO2 utilizzando la visione in 3D e con un monitor ad altissima risoluzione (tecnologia 4K).
Si tratta di una tecnica che consente di rimuovere completamente il carcinoma e che al momento viene utilizzata, oltre che al Monaldi di Napoli, solo in un altro centro italiano, quello di Torino. L’aspetto straordinario dell’intervento è che il paziente potrà tornare a parlare senza corde vocali, grazie alla salvaguardia, in sede operatoria, delle cartilagini aritenoidi, che sono anatomicamente fondamentali per preservare l’uso della voce.
Inoltre, grazie all’esame istologico intraoperatorio, che ha dato esito negativo, sarà possibile procedere alla ricostruzione meticolosa della rimanente porzione della laringe e alla successiva chiusura della tracheostomia.
L’impiego del laser e di un approccio minimamente invasivo nel trattamento di patologie come il tumore della laringe assicurano ai pazienti una riduzione delle complicanze e dei tempi di ricovero, nonché una ripresa quasi immediata. “Nuove tecnologie e approcci innovativi – dice Anna Iervolino, direttore generale dell’Azienda Ospedaliera dei Colli – sono i pilastri su cui vogliamo investire all’Azienda Ospedaliera dei Colli per migliorare sempre più l’offerta di salute e l’assistenza di tutti i nostri pazienti”.
campania
7mila giovani infermieri italiani sono fuggiti all’estero e la metà di loro trovati ideali in altre realtà europee

Quanti sono gli infermieri italiani che, ad oggi, sono letteralmente “fuggiti” all’estero e che, alla ricerca di una legittima consacrazione professionale, economica e contrattuale, hanno alla fine trovato, negli ultimi anni, vere e proprie isole felici, in altre realtà sanitarie europee molto più gratificanti della nostra, e non intendono di certo tornare a casa? Ce lo rivela una accurata indagine del team della divisione Engineering & Manufacturing di Hunters Group, società internazionale specializzata nella ricerca e selezione di personale altamente qualificato, sostenendo che sono 7mila i numeri ufficiali degli infermieri italiani che hanno trovato lavoro all’estero e che hanno scelto autonomamente di vivere lontano dal nostro Paese.
Ma il dato ancora più impressionante è che il 55% di loro non ha alcuna intenzione di tornare, il 30% è in attesa di un concorso per poter rientrare, ma le condizioni offerte dalle nostre aziende sanitarie, in tal senso, non sono certo allettanti, e il 15% è indeciso sul da farsi. Le destinazioni più ambite non sono una sorpresa: su tutte Germania, Spagna, Belgio e Svizzera. Da cosa dipende la fuga di cervelli? La prima ragione è sicuramente economica: gli infermieri italiani, infatti, hanno gli stipendi tra i più bassi in Europa, ce lo ha ripetuto l’Ocse, ce lo hanno detto la Ragioneria dello Stato e l’indagine del Rapporto Crea Sanità. La loro retribuzione netta, secondo Hunters, si aggira intorno ai 1.400 euro al mese (1780 secondo la Ragioneria dello Stato al netto di straordinari e premialità, quindi con i numeri non siamo certo lontani), che sale a circa 2mila euro dopo molti anni in corsia e con un certo grado di specializzazione.
In Germania, nel Regno Unito o in Svezia, invece, lo stipendio medio si aggira intorno ai 2.500 euro netti mensili. In Svizzera, infine, siamo sui 3.300 euro netti al mese anche se dobbiamo considerare che il costo della vita è decisamente molto alto. Il secondo motivo è legato, invece, ai contratti. Solo uno su dieci in Italia, infatti, è a tempo indeterminato e questo porta molti professionisti a cercare opportunità migliori al di fuori dei nostri confini. Non è finita certo qui. Quasi ogni giorno nuovi autorevoli report, e a volte ne arriva anche più di uno contemporaneamente, corroborano le nostre denunce sulla difficile situazione della realtà infermieristica italiana, nell’ambito del desolante quadro di un sistema sanitario che non riesce a scrollarsi di dosso la nube nera che sembra averlo avvolto.
Questo nostro comunicato, vuole mettere in evidenza, ai cittadini, e non solo agli operatori sanitari, quali siano al momento le reali difficoltà che il nostro SSN sta attraversando. Ci riferiamo a lacune strutturali di vecchia data, all’interno della sanità pubblica, che da semplici crepe nelle mura, purtroppo non risolte, rischiano con il tempo di far crollare ,al primo scossone, quello che è diventato un fragile castello di sabbia». Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up. «Ai dati di Hunters Group, si unisce, infatti, l’indagine di Cittadinanzattiva, resa nota nei giorni della celebrazione della Terza Giornata del Personale Sanitario, che aggiunge nuovi preoccupanti dati ai campanelli di allarme che negli ultimi mesi hanno contraddistinto le nostre campagne di comunicazione, dando un senso profondo ai nostri appelli, costanti, alle istituzioni, verso la necessità di unità di intenti, verso un pragmatismo, una sinergia, senza le quali non saremo mai in grado di uscire dal buio tunnel in cui siamo piombati.
Lasciamo che sia proprio il report di Cittadinanzattiva a far emergere ulteriori contenuti, quelli che per mesi il nostro sindacato ha già ampiamente raccontato alla collettività, ma che meritano di essere nuovamente citati, a dimostrazione che ciò che affermiamo da tempo nasce da una profonda e realistica analisi della realtà, corroborata da autorevoli indagini come le due che qui riportiamo. La stima, secondo Cittadinanzattiva, è che oggi, tra ospedale e territorio, manchino, di base, circa 65mila infermieri. Sono dati che conosciamo bene, e che, lo abbiamo detto più volte, almeno per quanto riguarda gli infermieri italiani, rappresentano solo la punta dell’iceberg, visto che, rapportata agli standard europei, la voragine di infermieri di casa nostra è ben più ampia, e oscilla tra le 230 e le 350mila unità mancanti all’appello (Rapporto Crea Sanità 2023), anche e soprattutto per il gap di circa 2 punti che persiste nei confronti di altre realtà del Vecchio Continente (indagine Health at Glance dell’Ocse 2022), legato alla presenza, in Italia, di 6.2 infermieri in media ogni 1000 abitanti, rispetto agli oltre 8 dei nostri vicini di casa, fino a picchi di 8.8.
Senza dimenticare che l’inesorabile invecchiamento della nostra popolazione ci condurrà, nel tempo, a conseguenze ben più gravi, rispetto ad altre nazioni. Sempre Cittadinanzattiva fa notare che tra il 2010 e il 2020, in Italia, sono stati chiusi ben 111 ospedali e 113 Pronto soccorsi e tagliati 37mila posti letto. Segnali, questi, di quel pericoloso immobilismo, di quell’austerity, denunciata anche dalla nostre Corte di Conti, in relazione ad un Paese, il nostro, che non investe con continuità nel proprio sistema sanitario, ma si rimbocca frettolosamente le maniche, come è accaduto nella Pandemia, solo nei momenti di vera emergenza, ritrovandosi a gestire falle enormi con toppe che non sanano certo il problema alla radice. Retribuzioni tra le più basse d’Europa, condizioni economiche poco gratificanti, offerte da bandi di concorso che a buona ragione vanno spesso deserti, carenze strutturali che si trascinano da anni nella sanità pubblica, tra turni massacranti e disorganizzazione: per quale ragione i nostri infermieri fuggiti all’estero dovrebbero decidere di tornare in massa a lavorare nel nostro sistema sanitario? E’ una domanda legittima che dovremmo porci», chiosa De Palma.
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