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Scienza

Dal Giappone, il farmaco antietà con meno effetti collaterali

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Un nuovo farmaco antietà, con meno effetti collaterali rispetto a quelli tradizionali e capace di bloccare una proteina chiave nel trasporto del glucosio nell’organismo, si è dimostrato efficace nei topi: i risultati, pubblicati sulla rivista Nature Aging, indicano che il trattamento può contrastare patologie legate all’invecchiamento, come diabete e arteriosclerosi, e prolungare la durata della vita.

Secondo i ricercatori della giapponese Juntendo University che hanno effettuato lo studio, il farmaco potrebbe essere impiegato in futuro anche per malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer.

L’invecchiamento delle cellule, noto come ‘senescenza cellulare’, è un processo nel quale le cellule smettono di dividersi ma non muoiono e, accumulandosi, contribuiscono all’insorgere delle malattie legate all’età. I ricercatori, coordinati da Tohru Minamino, hanno condotto una serie di esperimenti per comprendere il potenziale e il meccanismo d’azione del canagliflozin, una molecola già impiegata per la terapia del diabete di tipo 2 che riduce i livelli di glucosio nel sangue.

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Scienza

Il confine tra veglia e sonno nel cervello è più labile del previsto

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Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Nature Neuroscience e condotto dall’Università della California a Santa Cruz e dalla Washington University a Saint Louis, il confine tra veglia e sonno nel cervello potrebbe essere più sfumato del previsto.

Infatti singoli neuroni possono indulgere in micro-pisolini della durata di pochi millisecondi, anche quando il resto del cervello è sveglio. I ricercatori hanno osservato il cervello dei topi grazie ad elettrodi impiantati in 10 regioni diverse, scoprendo microscopici sfarfallii nell’attività dei neuroni della durata variabile da 10 a 100 millisecondi, e la stessa cosa potrebbe avvenire nel cervello umano.

In particolare, gli scienziati hanno studiato nove topi per cercare di capire se la distinzione tra veglia e sonno fosse più labile di quanto ipotizzato finora. Analizzando i dati raccolti con un metodo basato sull’Intelligenza Artificiale, gli autori dello studio sono riusciti a identificare i micro-sonnellini dei neuroni e hanno anche osservato che questi brevissimi blackout coincidevano con quelle frazioni di secondo in cui gli animali smettevano di muoversi.

Ecco il commento del ricercatore Aidan Schneider della Washington University:

“Abbiamo potuto osservare i singoli istanti in cui questi neuroni si riattivavano, ed era abbastanza chiaro che stessero passando ad uno stato diverso da quello in cui si trovavano subito prima”.

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Dal Mondo

In Indonesia esiste un popolo in grado di vivere sott’acqua

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Conosciuti anche come “Nomadi dell’Acqua”, i Bajau sono una tribù originaria della penisola centrale di Sulawesi, in Indonesia.

Data la loro necessità di pescare per sostenersi e mangiare, nel corso dei secoli hanno sviluppato un adattamento genetico che consente loro di immergersi fino a 60 metri di profondità e trattenere il respiro per oltre 10 minuti senza bisogno di risalire in superficie.

Infatti in media trascorrono il 60% della loro giornata sott’acqua.

Questa straordinaria capacità ha attirato l’attenzione degli scienziati che hanno scoperto che questa abilità è dovuta alla dimensione della loro milza, maggiore rispetto alla normale dimensione degli altri comuni essere umani.
La milza immagazzina sangue ossigenato, consentendo ai Bajau lunghi periodi di apnea.



(fonte: thegap_media)

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Scienza

“Quando c’era LUCA”: l’antenato di tutti gli esseri viventi ha 4,2 miliardi di anni

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L’ultimo antenato comune a tutti gli organismi viventi abitava già la Terra 4,2 miliardi di anni fa. Chiamato affettuosamente Luca, ‘Last Universal Common Ancestor’, era probabilmente simile agli attuali batteri e possedeva già un sistema immunitario per difendersi dagli attacchi dei primi virus.

Lo afferma lo studio pubblicato sulla rivista Nature Ecology & Evolution e guidato dall’Università britannica di Bristol, che dimostra come la vita fiorisse già dopo soli 400 milioni di anni dalla nascita del nostro pianeta e del Sistema Solare.

I ricercatori guidati da Edmund Moody hanno confrontato tutti i geni presenti nel Dna delle specie viventi, contando le mutazioni che si sono accumulate nel tempo dall’ultimo antenato condiviso. Utilizzando un equivalente ‘genetico’ dell’equazione usata per calcolare la velocità in fisica, sono così potuti risalire indietro fino a 4,2 miliardi di anni fa, l’età di Luca: “Non ci aspettavamo che Luca fosse così vecchio – commenta Sandra Álvarez-Carretero, co-autrice dello studio – ma i nostri risultati si adattano alla visione moderna sull’abitabilità della Terra primordiale”.

I risultati indicano che si trattava di un organismo complesso simile agli attuali procarioti, microrganismi unicellulari che comprendono i batteri, e che non era solo.
“È chiaro che Luca stava già sfruttando e modificando l’ambiente in cui viveva, ma è improbabile che fosse solo”, afferma Tim Lenton dell’Università di Exeter, tra gli autori dello studio: “I suoi rifiuti sarebbero stati cibo per altri microbi, come i metanogeni (batteri che usano l’idrogeno come fonte di energia e vivono solo in assenza di ossigeno), che avrebbero contribuito a creare un ecosistema”.


(fonte: Ansa)

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