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Covid. Zona arancione in Campania: ristoratori sul piede di guerra

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Dopo la decisione del ministro della Salute Roberto Speranza per quanto concerne il passaggio in zona arancione della Regione Campania, insieme anche a Molise ed Emilia Romagna, causata dal peggioramento dell’indice RT e dall’incremento dei contagi, a parlare sono ora i ristoratori, che figurano tra le categorie più colpite:

“Gli imprenditori campani sono allarmati e disorientati. Secondo noi non si risolve così il problema dei contagi: dal nostro punto di vista o si conferma la zona gialla o meglio passare direttamente a quella “rossa”, con la chiusura delle attività e ovviamente con il sostegno dei ristori. La verità è che il problema degli assembramenti non lo risolviamo senza controlli più rigidi. In ogni caso è inaccettabile che queste decisioni vengano prese sempre all’ultimo momento. Non è possibile che il cambiamento dello “status” lo si stabilisca il venerdì per la domenica o per il lunedì. I ristoratori acquistano i prodotti almeno due giorni prima, non è possibile pensare che l’approvvigionamento dei prodotti per la domenica venga fatta il sabato, altrimenti la qualità sarebbe scadente. Ci auguriamo che il governo Draghi in futuro sia più tempestivo e deciso nelle scelte, le decisioni last minute provocano ulteriori danni economici alle attività. Ribadiamo che i ristoratori non sono gli “untori” del Covid-19, il problema è la mancanza di senso civico delle persone, il rifiuto delle regole e la mancanza di rispetto per la salute da parte di diverse cittadini. Dunque passare da zona “gialla” ad “arancione” dal nostro punto di vista non risolve il problema della crescita dei contagi ed allungherebbe invece l’agonia delle attività commerciali. Se non ci sono controlli adeguati, inoltre, diventa difficile evitare gli assembramenti”. Questo è il pensiero di Vincenzo Schiavo, presidente di Confesercenti Campania.

 

 

 

Così il presidente di Confesercenti Campania Vincenzo Schiavo: “

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In Italia saranno ammessi rapporti intimi in carcere ma solo con la porta aperta e per massimo due ore

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Il diritto alla sessualità entra in carcere. A distanza di oltre un anno dalla pronuncia della Consulta, arriva il primo concreto segnale dal Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Dap, che apre definitivamente la strada alla possibilità di concedere colloqui intimi dietro le sbarre. «Un vero e proprio diritto soggettivo» del detenuto – secondo i giudici – che ora è consentito e stabilito dalle linee guida diffuse dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

Ad usufruire di questo tipo di incontri potranno essere soltanto il coniuge o la persona stabilmente convivente del detenuto, in diversi casi anche più di una volta al mese. I numeri dei colloqui potranno sostituire gli stessi di quelli visivi periodicamente concessi e dureranno al massimo due ore.

La priorità sarà data ai detenuti che non hanno permessi premio, né altri benefici penitenziari che consentano di coltivare i rapporti affettivi all’esterno. Inoltre, in questo senso saranno privilegiati i detenuti, compresi gli imputati, che a parità di condizioni con altri devono espiare pene più lunghe e che sono in stato di privazione della libertà da più tempo.

La camera degli incontri, arredata con un letto e servizi igienici e senza la possibilità di chiusura dall’interno, sarà sorvegliata soltanto all’esterno dal personale di Polizia penitenziaria adeguatamente equipaggiato per il controllo dei detenuti e delle persone ammesse ai colloqui intimi.

La scelta ha però avuto anche dei risvolti negativi, in particolare c’è stata una dura presa di posizione del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, l’organizzazione più rappresentativa del Corpo, che in una nota inviata ai vertici del Ministero della Giustizia ha dichiarato: “Non possiamo tollerare che la dignità professionale dei poliziotti penitenziari venga svilita fino al punto da renderli, di fatto, custodi dell’intimità altrui. Noi non ci siamo arruolati per diventare “guardoni di Stato”, né accetteremo che tale ruolo improprio venga normalizzato per l’assenza di un progetto credibile, serio e sostenibile.”

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Donazione degli organi, sono sempre più in aumento le persone che si rifiutano

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L’11 aprile scorso si è celebrata la Giornata Nazionale per la Donazione e il Trapianto di Organi e Tessuti, un’occasione fondamentale per riflettere sul valore di un gesto che può salvare fino a sette vite.

Ma nonostante l’importanza di questa scelta, il trend preoccupa: nei primi tre mesi del 2025 il 40% di 950mila persone che hanno rinnovato la carta d’identità si è esplicitamente opposto alla donazione degli organi. È la percentuale più alta segnalata negli ultimi dieci anni, da quando vengono raccolti i dati delle dichiarazioni di volontà sottoposte alle persone al momento del rinnovo dei documenti.

Il centro nazionale trapianti, che coordina la distribuzione degli organi donati in tutti gli ospedali italiani in seguito alla morte di una persona, giudica questo andamento molto preoccupante perché a un aumento delle opposizioni corrisponde una minore possibilità di salvare migliaia di persone in attesa di un organo.

Grazie al consenso, lo scorso anno 1.730 persone hanno donato i loro organi contribuendo a 4.602 trapianti, perché un solo donatore può aiutare fino a sette persone, che diventano addirittura nove se polmoni e fegato vengono suddivisi tra più riceventi con la tecnica split.

I più propensi davanti all’ipotesi di donare gli organi dopo la morte sono i 40-50enni, i più dubbiosi sono soprattutto gli over 60, ma anche i 18-30enni, tra i quali le opposizioni sono passate dal 33,6% del 2024 al 37,9% del primo trimestre 2025.

Alla base ci sono spesso paura, mancanza di informazione o scarsa consapevolezza. Eppure donare è semplice, sicuro, e può fare la differenza tra la vita e la morte per migliaia di pazienti in lista d’attesa.

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A Napoli la celebrazione in memoria dei caduti di tutte le guerre

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Nella solennità di San Francesco di Paola, patrono della “Gente di Mare”, nella omonima Basilica Pontificia di Napoli, in piazza del Plebiscito, a Napoli, si è tenuta la celebrazione in memoria dei caduti di tutte le guerre, di terra, di cielo e del mare.

Numerosa la partecipazione di autorità civili e militari, tra cui il Viceprefetto di Napoli, Dario Annunziata, dell’Ammiraglio Ispettore della Marina Militare Pierpaolo Budri, del presidente dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia di Napoli Antonio Varriale.

È stata deposta una corona in memoria dei caduti a cura dell’Anmi, mentre il Presidente della Delegazione Provinciale dell’Oncsc Alfredo Migliaccio ha ribadito lo spirito di cooperazione tra le componenti associative d’arma, che rendono viva la memoria di chi ha combattuto per garantire la nostra stessa esistenza.

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