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CAIVANO. I fatti e i colpevoli del degrado del Centro Sportivo “Delphinia”

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CAIVANO – Il centro sportivo “Delphinia” oramai ridotto ad un mostro ecologico negli ultimi giorni è dovuto, suo malgrado, assurgere ai disonori della cronaca. Per colpa di un prete egocentrico, disinformato ma allo stesso modo influente, l’Italia intera ha dovuto sorbirsi una grossa balla mediatica, ossia quella che lo stupro delle due tredicenni sia avvenuto all’interno della stessa piscina in cui il 13 Luglio scorso fu rinvenuto un cadavere in uno stato avanzato di decomposizione. Grossolana bugia già illustrata nel mio precedente editoriale (leggi qui).

Ma perché il centro sportivo “Delphinia” verte in questo stato? Di chi è la colpa? Spero di essere abbastanza sintetico nell’esporre i fatti a partire dal 2019.

Quattro anni fa parte l’idea di affidare, attraverso la legge del “Project Financing ex art. 183 del Codice Appalti”, l’intero bene pubblico del complesso piscine, oramai dismesso, ad un soggetto promotore che si mostrasse interessato all’investimento. Dopo un anno, nel 2020, l’allora Commissario Prefettizio Fernando Mone coadiuvato dalla dirigente Dott.ssa Anna Damiano riescono a pubblicare una manifestazione di interessi attraverso la stazione appaltante del Provveditorato di Napoli. A tale manifestazione rispondono due ditte costituite in una sola ATI (Associazione temporanea di impresa) Alba Oriens e San Mauro Nuoto – quest’ultima rappresentata dall’ex nuotatore professionista ed ex socio di Massimiliano Rosolino, Christian Andrè – con un progetto che comprendeva, oltre la ristrutturazione dell’intero complesso, anche l’aggiunta di una piscina scoperta di 50 metri idonea per gare internazionali per un valore di € 1,3 milioni.

Compiendo tutti gli atti burocratici si arriva, dopo mesi, alla pubblicazione della gara del “Project Financing”. Alla gara oltre l’ATI sopra citato si presentano anche altri operatori economici ma il progetto del duo Alba Oriens-San Mauro, intanto incrementato con altre migliorie tra cui un parco acquatico a pagamento con tanto di acquascivoli, in stile “Magic World” per intenderci, che arriva ad un totale di € 2,4 milioni, risulta essere il migliore secondo il Provveditorato che aggiudica immediatamente l’appalto, nominando di fatto l’ATI sopra citato “soggetto promotore”.

Completato l’iter burocratico della gara, la documentazione passa in mano al dirigente Anna Damiano che è anche il RUP (Responsabile Unico del Progetto) a cui spetta l’onere dell’espletamento burocratico dei contratti e dell’avvio dei lavori di ristrutturazioni. Siamo nel 2020, intanto arriva la politica. Enzo Falco si insedia il 10 ottobre e tutto si impantana. I contratti non vengono mai firmati e di conseguenza i lavori mai avviati da parte del soggetto promotore.

Da qui comincia una comunicazione epistolare importante tra l’aggiudicatario e il Comune di Caivano dove il primo si preoccupa insistentemente della vigilanza del bene, dato che quest’ultimo è esposto a rischio di vandalismo e defraudamento. Dopodiché arriva l’epidemia mondiale del COVID che costringe tutti noi a restare chiusi in casa senza poter uscire – questo fatto sfugge a molti ma è meglio tenerlo sempre in considerazione – vietata l’attività delle piscine fino al 17 Luglio 2022 e premettendo che nei due anni di pandemia, il Sindaco di Caivano Enzo Falco e la Dott.ssa Damiano non hanno mai fatto firmare il contratto al soggetto promotore, così come non si è mai posti il problema del rischio vandalismo del centro sportivo, in questi due anni ladri, delinquenti e cittadini di etnia rom hanno portato via: cabina di trasformazione elettrica, tutti gli infissi, tubi in acciaio per la distribuzione dell’acqua alla piscina, l’intera recinzione in ferro, i cavi elettrici con annesso impianto canalizzato, senza contare gli atti di vandalismo, episodi incendiari e allagamenti subiti in questo periodo.

Arrivati al 2022 in queste condizioni, anche un bambino capirebbe che il progetto originario di 2,4 milioni di euro non sarebbe bastato a realizzare il progetto presentato in fase di gara e tenendo conto dell’esorbitante aumento dei costi delle materie prime dovuto agli incentivi del governo Conte dei superbonus edilizi, il soggetto promotore invia un nuovo PEF (Piano Economico Finanziario) come vuole la legge sul Codice degli Appalti. Il nuovo importo per la realizzazione di quel progetto sale a 5 milioni e 800mila euro e non a 7 milioni come la politica nostrana, forse per scaricarsi dalle responsabilità anche in maniera infantile, ha fatto credere.

Presentato il nuovo PEF si interrompe qualsiasi comunicazione con l’Amministrazione Comunale. L’ex Sindaco Enzo Falco e i suoi cominciano a chiedere pareri tecnici ovunque e lo fanno attraverso uno studio legale, uno studio contabile e un ingegnere urbanista, spendendo 17mila euro di denaro pubblico. Cosa ottengono? Nulla. Pareri discordanti. L’avvocato è d’accordo alla richiesta del beneficio del suolo chiesto dall’aggiudicatario, l’ingegnere no! A questo punto la patata bollente resta in mano alla politica che essendo tale, dovrebbe – il condizionale è d’obbligo – assumersi la responsabilità della visione socio-politica del proprio territorio e stabilire se tale azione politica giovi o meno alla propria comunità. Ancora no. Come il più bravo degli ignavi l’ex Sindaco Enzo Falco, preferisce perdere tempo, porta la proposta del soggetto promotore in Consiglio Comunale che viene approvata all’unanimità ma tale proposta non viene mai presentata in giunta, anche se a onor del vero, tale passaggio poteva anche essere evitato, dato che si tratta di esecutività dei lavori e tale incombenza e in capo al dirigente. Ma si preferisce perdere tempo e nessuno vuole assumersi la Responsabilità.

Responsabilità di cosa, poi, non si riesce a capire, dato che si tratta di Project Financing e che il Comune era tenuto a non investire neanche un euro. Allora cosa ha impedito all’Amministrazione Falco di far firmare il contratto al soggetto promotore per far avviare i lavori di riqualificazione del bene?

Dato il protrarsi del tempo e stanco delle lungaggini dell’Amministrazione Falco, il soggetto promotore pel tramite del suo legale diffida il Comune di Caivano a risolvere il problema della firma sui contratti. All’indomani della diffida, la dott.ssa Anna Damiano pensa bene di comunicare all’aggiudicatario il rigetto del progetto ultimo presentato – quello dei 5 mln e 800mila per intenderci – in maniera tale da prendere altro tempo, non tenendo conto che la diffida precedente costituisce un grave fatto per l’Amministrazione comunale.

Poi ci scappa il morto. All’interno del centro “Delphinia” viene rinvenuto un cadavere in uno stato avanzato di decomposizione e il bene viene sequestrato dalla magistratura e dagli organi inquirenti. Attualmente il bene non è nelle disposizioni del Comune di Caivano. Gli organi elettivi vengono sciolti e l’attuale Commissario Prefettizio Gianfranco Tomao chiede lumi alla Dott.ssa Damiano sul centro “Delphinia”. La dirigente, per risolvere la questione, pensa bene di inviare un invito per un “incontro prodomico alla firma del contratto” fissato per l’8 Agosto c.a.

Avete capito bene. Il Comune di Caivano vuole far firmare ad un aggiudicatario un contratto per la gestione di un bene pubblico che non è nelle proprie disposizioni.

Questa è stata la risposta del soggetto promotore: “Codesto RUP oblitera completamente la circostanza (non portata a conoscenza della mia patrocinata, ma di dominio pubblico atteso il clamore della stampa anazionale) che tutta l’area è stata sottoposta a sequestro da parte dell’Autorità Giudiziaria… , …l’invito di cui all’oggetto appare sempre più dettato dal timore e dalla volontà di “aggiustare le carte” e sottrarre l’ente alla responsabilità erariale per le evidenti omissioni e prevenire l’azione di risarcimento di Alba Oriens. Anzi, oggi l’offerta di un incontro prodromico alla firma del contratto, oltre che irricevibile, appare incasellarsi nel famoso film di Totò, quando quest’ultimo tenta di vendere la Fontana di Trevi al povero “sempliciotto” e malcapitato di turno”.

È indubbio che dirigenza ed ex Amministrazione non abbiano saputo o voluto gestire un appalto di queste dimensioni e importanza. Ma all’evidenza dei fatti, appare sempre più improbabile che le promesse fatte ieri dalla Premier Giorgia Meloni possano diventare realtà. Per il resto? Ai posteri l’ardua sentenza!

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CAIVANO. Il prete Patriciello a La7 sul crollo di Scampia ma non parla degli stessi problemi di stabilità del Parco Verde

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CAIVANO – Basta far parlare l’ignoranza. Il degrado di una comunità passa anche attraverso la creazione di falsi miti. Non è accettabile, nel 2024, che la stampa nazionale, abbia come punto di riferimento la demagogia e il populismo e non le competenze. Allora la domanda che mi pongo è: Perché su una tragedia come il crollo del ballatoio della vela celeste a Scampia, si interroga il prete Maurizio Patriciello e non uno strutturista, un ingegnere o un Ministro di riferimento?

Premesso che la domanda della collega al prete non era la richiesta di fare similitudini tra il Parco Verde e Scampia – un intervento del genere l’avrei anche compreso – ma la domanda che viene fatta al prete è: “Dove era la politica per Scampia?”. Non sapevo che Patriciello fosse un personaggio politico, deputato, senatore o meglio ancora Premier. Dato che parecchi suoi adepti che si riversano sotto i post del sottoscritto, come anche lui a più riprese verso chi lo incalza, tengono a precisare che non si occupa di politica. Allora perché la Stampa tende ancora a dargli quel ruolo? Ma non è finita qui!

L’ “Armand-Jean du Plessis de Richelieu” in salsa nostrana esordisce con la sua risposta denotando una ignoranza storica e architettonica da paura, asserendo che le vele di Scampia, forse erroneamente paragonandole al Parco Verde, vivono un peccato originale, quello in cui la politica ha scelto di ammassare in questi luoghi tutta la povertà e che poi in questi luoghi lo Stato è andato via, non c’è mai stato, tanto è vero che “qui”, credo si riferisca al Parco Verde, non si è mai visto un vigile urbano o un’assistente sociale.

Allora, mi domando, se le cose non si conoscono, perché rilasciare interviste su temi con i quali si potrebbero fare delle figuracce se non finire di affibbiare etichette errate a quartieri già di per sé problematici?

Quindi. Sempre per amore della verità ma soprattutto per amore della verità storica, quella che manca a parecchi. Ricordiamo sempre che su un falso storico si è costruiti una falsa unità d’Italia per la quale le genti del sud stanno ancora pagando le conseguenze.

Le vele di Scampia nascono a seguito della legge n. 167 del 1962, facevano parte di un progetto abitativo di larghe vedute dell’Arch. Francesco Di Salvo che prevedeva anche uno sviluppo della città di Napoli nella zona est, ossia Ponticelli. Esse restano, nonostante tutto, l’opera realizzata che meglio rappresenta la poetica architettonica del progettista.

Furono costruite tra il 1962 e il 1975 su un progetto ispirato all’Existenzminimum, una corrente architettonica per la quale l’unità abitativa del singolo nucleo familiare avrebbe dovuto essere ridotta al minimo indispensabile, con una spesa costruttiva contenuta, ma con spazi comuni dove la collettività si integrava. Di Salvo realizzò il progetto ispirandosi ai vicoli del centro storico di Napoli che, nelle sue intenzioni, sarebbero dovuti essere ricreati in un condominio.

Nel progetto ispirato ai princìpi delle unités d’habitation di Le Corbusier, alle strutture «a cavalletto» proposte da Kenzo Tange e più in generale ai modelli macrostrutturali, erano previsti centri aggregativi e spazi comuni, uno spazio di gioco per bambini e altre attrezzature collettive. La mancata realizzazione di questo «nucleo di socializzazione» è stata certamente una concausa del suo clamoroso fallimento.

L’idea del progetto prevedeva grandi unità abitative dove centinaia di famiglie avrebbero dovuto integrarsi e creare una comunità, grandi vie di scorrimento e aree verdi tra le varie vele. Una vera e propria città modello, ma varie cause hanno portato a quello che venne poi definito un ghetto, in primis il terremoto dell’Irpinia del 1980, che portò molte famiglie, rimaste senzatetto, a occupare anche abusivamente gli alloggi delle vele.

A questo intreccio di eventi negativi si è associata la mancanza totale di presidi dello Stato: il primo commissariato di Polizia fu insediato solo nel 1987, a quindici anni dalla consegna degli alloggi. La situazione ha allontanato sempre di più una parte della popolazione, lasciando il campo libero alla delinquenza. I giardini sono divenuti luogo di raccolta degli spacciatori, i viali sono piste per corse clandestine, gli androni dei palazzi luogo di incontro di ladri e ricettatori.

Quindi, una volta compresa la genesi delle vele e appurato che esse non nascono col peccato orginale, si può ricostruire perbene la storia, in maniera tale da non ripetere gli stessi errori.

Perché, ancora una volta, se di mancanza delle istituzioni si può parlare e non di inciviltà da parte di primati autoctoni che credono che occupare un alloggio non sia un reato ma un diritto, essa è sempre causata dallo stesso motivo: l’emergenza continua e costante, quella per la quale non si riesce o non si vogliono risolvere i problemi del Parco Verde.

Cosa ben diversa, invece, si registra con la genesi del quartiere degradato caivanese, nato in occasione del terremoto dell’Irpinia – causa del degrado delle progetto avvenieristico delle vele di Scampia – ma fatto di case in cemento e amianto prefabbricato e dovevano avere un compito abitativo di natura temporanea

Oggi, a distanza di 40 anni dalla sua nascita, l’intero parco vive un problema di stabilità ancora più pericoloso di quello delle vele di Scampia, quindi mi domando: ignoranza per ignoranza, perché il prete Patriciello, nello specificare alla collega che Giorgia Meloni deve essere presentata con l’appellativo “capo del governo” e invitare la Premier a fare di più per Scampia rispetto a quanto fatto per il Parco Verde, davanti alle telecamere di La7 non ha parlato del problema di stabilità degli edifici del Parco verde, delle fondamenta infradiciate dall’acqua sorgiva e del pericolo di crollo che quella gente vive ogni giorno? Perché continuare a lasciar pensare all’Italia intera che la Meloni ha risolto i problemi di Caivano? Quali sono gli interessi del prete Patriciello, difendere la povera gente, quella stessa gente che pur ritenendoli occupanti abusivi, difendeva il loro diritto alla casa o l’immagine del partito della Meloni e di questo governo? Ai posteri l’ardua sentenza.

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CAIVANO. La lobby del cemento annichilisce l’urbanistica. Questione delle case di via Salvemini ancora irrisolta.

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CAIVANO – Ci eravamo lasciati così nell’Aprile del 2021, con questo mio editoriale (leggi qui). A distanza di tre anni e passa ci ritroviamo a documentare lo stesso problema ma con dinamiche evolute e più articolate.

Si, dinamiche ben rodate e perpetrate da una lobby ben consolidata sul territorio che riesce ad eludere leggittimità e oliare un sistema convenzionale e assuefatto dal popolo, facendo passare l’illecito per il lecito e i furbi per mecenati. Ma veniamo ai fatti.

Così come all’epoca ho illustrato le stranezze del lotto C 2.3 dell’ex ICIF, oggi vi voglio aggiornare sulla storiella del lotto 1.6/A perché a distanza di tempo si è scoperto che non solo c’è stato un ratto delle cubature a discapito degli altri proprietari terrieri ma che si è continuato a costruire, terminare l’immobile e attuare anche la compravendita delle abitazioni, nonostante il Comune di Caivano, dopo aver chiesto un parere pro-veritatae al Prof. Domenico Moccia e all’Arch. Alessandro Visalli che addivennero alla conclusione che il detto P.U.A. non sia stato rispettoso degli standard urbanistici previsti per il comparto interessato, abbia comunicato alle parti – ai proprietari terrieri Giulio Rispoli e Stefano Lizzi nonché il costruttore Pietro Magri della Magri Costruzioni srl – l’avvio del procedimento amministrativo per l’annullamento d’ufficio ed in via di autotutela della Delibera dove fu approvato il P.U.A. del comparto C 1.6/A e di ogni altro procedimento connesso all’iter approvato del P.U.A. C 1.6, compresa la Delibera del Commissario Straordinario, all’epoca Ferdinando Mone, dove si autorizzava la suddivisione del comparto C 1.6 e la Delibera del Commissario Straordinario con la quale è intervenuta l’adozione del P.U.A. C 1.6/A e i permessi di costruire rilasciati a Roma Anna Selvaggia, Giulio Rispoli e Stefano Lizzi volturata a Magri Costruzioni srl e a Pietro Magri in qualità di Legale Rappresentante della Magri Costruzioni srl.

Premesso che l’Amministrazione Falco, in continuità amministrativa e ritrovatasi con la patata bollente tra le mani, forse anche all’indomani della mia tiratina d’orecchie dell’Aprile 2021, ha chiesto parere a un avvocato, nello specifico Avv. Aniello Mele il quale suo parere si sovrappone a quello della parte difensiva ma è anche giusto ribadire che il parere di un Avvocato è chiuso nel recinto del tecnicismo giuridico e non entra nei meriti del puramente tecnico, così come si può asserire, senza tema di smentita, che la questione non è ancora del tutto chiusa, dato che non c’è la sentenza di nessun organo super-partes a stabilire da che parte sta la ragione.

Così, come ogni ombra che caratterizza gli affari della lobby del cemento caivanese, anche la compravendita di case di via Salvemini, costruite dalla Magri Costruzioni srl, presenta il suo lato oscuro e da cronista e osservatore del territorio mi domando: Cosa succede a questi poveri ignari acquirenti, forse anche giovani novelli sposi che per dare un sano futuro alla nuova creazione della loro famiglia decidono di investire i loro sacrifici in una casa nuova di zecca, se i commissari straordinari prefettizi attuali, o la prossima Amministrazione, facessero legittimamente il loro lavoro e attuassero ciò che inspiegabilmente è rimasto sospeso per anni, ossia la revoca in autotutela di quei permessi di costruire? Da un giorno all’altro si ritroverebbero ad essere degli occupanti di un immobile abusivo, e si ritroverebbero ad essere vittime di un Sistema come gli abitanti di via Indipendenza, 8 a Casoria, e questo sempre grazie o per colpa della nota lobby affaristica caivanese.

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Gemellaggio Caivano-Barcellona, con i ragazzi spagnoli sarà “liberata” Villa Andersen nel cuore del Parco Verde

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Barcellona chiama, Caivano risponde. Resteranno cinque giorni a Caivano i ragazzi dell’Opera corporativa dell’Opus Dei di Barcellona arrivati oggi in Italia: saranno accolti dai volontari dell’associazione “Un’infanzia da vivere” e si dedicheranno ad una serie di attività ludiche e sportive, coordinati dal responsabile del settore sportivo e scolastico.

Ma i giovani di Barcellona, insieme a quelli di Caivano, saranno impegnati anche in un’altra importante iniziativa: “liberare” Villa Andersen, la villa comunale nel cuore del Parco Verde. Si tratta di un polmone verde di 9000 metri quadrati, una zona abbandonata da decenni e oggi ritrovo di tossicodipendenti e balordi, nei pressi della quale vi sono 130 abitazioni con circa 500 bambini.

Villa Andersen non è stata interessata dalle recenti attività di riqualificazione e i ragazzi italiani e spagnoli, con gli attrezzi messi a disposizione dalla cooperativa multiservizi “Nessuno resti solo”, si adopereranno per ripulire e liberare l’ingresso.
Da tempo l’associazione “Un’infanzia da vivere” è in contatto con l’Opera corporativa dell’Opus Dei di Barcellona, grazie al dottor Roberto Milano.



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