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Cronaca

“Erano demoni”. L’agghiacciante racconto di un detenuto in sedia a rotelle del carcere di Santa Maria

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Si chiama Vincenzo Cacace il detenuto in sedia a rotelle del carcere di Santa Maria intervistato da Fanpage.it che ha raccontato agghiaccianti verità riguardo la sua reclusione.

«Ho passato quasi 28 anni in carcere, per droga, associazione etc. etc. Sono uscito dal carcere il 2 settembre, per fine pena» ha esordito l’uomo.

Continuando «Io sono sulla sedia a rotelle, mi sono abbassato perché non ce la facevo più, mi colpivano in faccia, in fronte, dietro alla schiena, mi sono abbassato e martellavano. Siamo andati giù, loro per le scale io con l’ascensore. Anche nell’ascensore le percosse. Ci hanno rovinati, ci hanno portato sopra, salendo sopra ci hanno fatto il triplo. Un appuntato mi ha detto, Cacace non ti preoccupare perché si sono dimenticati le telecamere accese».

Di istituti detentivi ne ha girati tanti ma, spiega, non ha mai visto quanto accaduto il 6 aprile del 2020 a Santa Maria Capua Vetere.

Vincenzo è il detenuto in sedia a rotelle percosso dalla polizia penitenziaria. Quella che sceglie di raccontare a Fanpage.it è la sua verità. Quella che il gip, guardando i video agli atti dell’inchiesta della Procura locale che dovrà accertare la veridicità dei fatti, ha definito “orribile mattanza”, è stata preceduta da una protesta dei detenuti.

«Una piccola protesta», precisa Cacace, nata dall’interruzione dei colloqui con i familiari a causa dell’emergenza Covid.

Al termine della protesta il giorno successivo, il famoso 6  aprile, stando a quanto racconta Enzo, la polizia penitenziaria ha fatto uscire dalle rispettive celle i detenuti, per dare vita a una delle pagine più nere della storia recente dei penitenziari italiani.

Grazie alle telecamere di videosorveglianza, agli atti dell’inchiesta, gli inquirenti stanno ricostruendo la vicenda che, per il momento, ha visto emettere 52 misure cautelari. Molte proprio contro esponenti della Polizia Penitenziaria.

Di quei momenti, Enzo ricorda precisamente in quali parti del corpo è stato percosso. Spiega di aver perso i denti per la violenza di un colpo e di avere un problema all’occhio sinistro. Poi alza la maglia, mostrando un “buco” sul petto che racconta essere il frutto di una manganellata.

«Tutta la notte si sono messi, lasciavano uno e prendevano un altro. A me ci hanno messo mezz’ora a lasciarmi. Noi siamo diciamo malavitosi, abbiamo sbagliato nella vita, è giusto? Dobbiamo pagare, se sbagliamo, è giusto? Andiamo in carcere, la dobbiamo scontare la pena ma non con la vita, perché la vita è importante. Se andiamo in carcere, non siamo dei numeri di matricola siamo esseri umani» ha poi affermato.

«Non è nel mio stile, non ho mai fatto una denuncia, né alle forze dell’ordine né a nessuno. Sono un uomo d’onore, non le faccio queste cose, non esiste. Mi da proprio fastidio questa parola, denuncia. Però voglio dire una cosa: la devono pagare Dottorè, perché il male lo abbiamo qui dentro, noi il male lo abbiamo dentro. Per me non erano esseri umani, quelli erano demoni Dottorè, demoni e loro erano una sola cosa» ha concluso, rispondendo alla domanda della giornalista sulla denuncia.

Cronaca

Napoli, “non pulirmi il parabrezza”: il lavavetri glielo distrugge

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Una donna ha avvertito le forze dell’ordine, dopo essere stata aggredita da un lavavetri, in piazza Sannazzaro in Napoli. I fatti risalgono alla notte tra domenica e lunedì. L’aggredita ha prontamente indicato ai poliziotti, accorsi sul luogo, chi fosse stato l’autore del danneggiamento al parabrezza della sua auto.
L’aggressore non ha “gradito” la presenza della Polizia ed ha iniziato ad inveire contro di loro, si è arrivati ad una vera e propria colluttazione terminata con l’arresto dell’uomo. Nell’auto di servizio, il lavavetri, originario del Marocco già noto alle forze dell’ordine, ha rotto un vetro di un finestrino della volante. Gli si imputano danneggiamento aggravato, lesioni e resistenza a pubblico ufficiale.

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Cronaca

Salerno, importavano droga dal Sud America: in manette 15 persone

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Un’indagine, condotta dal ROS e dalla Procura di Salerno, ha portato all’arresto di quindici persone ritenute membri di un’organizzazione criminale internazionale.
Da quanto emerso, il porto di Salerno era diventato il punto nevralgico per l’arrivo di ingenti quantità di droga, soprattutto cocaina e marijuana. Il tutto ruotava intorno a figure legate alle cosche ‘ndrine appartenenti agli Alvaro e i Sinopoli di Reggio Calabria.
Nicola e Francesco Alvaro fungevano da finanziatori dell’importazione dalla quale acquisivano le sostanze psicotrope. Le fare da veci erano Carmine Ferrara, Salvatore Rocco, il calabrese Fortunato Marafioti e il partenopeo Errico D’Ambrosio. Furto, ricettazione e minaccia compongono il quadro indagatorio, accompagnati dall’aggravante dell’associazione mafiosa.

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Cronaca

Da Montreal a Napoli, una tonnellata di marijuana nascosta tra i ceci

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Nel corrente mese, è stato scovata e sequestrata oltre una tonnellata di marijuana, nascosta all’interno di un container partito dallo scalo di Montreal (Canada) con destinazione Salerno. A far da tramite un’azienda di import-export con sede a Poggiomarino, nel napoletano.
Il contenitore mobile è stato seguito, fino a Boscoreale, dai finanzieri del Nucleo Polizia Economica-Finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli, coadiuvati dalla locale Sezione Aerea del Corpo e il Comando Provinciale Guardia di Finanza di Salerno. Il sequestro è scattato dopo alcuni giorni di appostamento. La marijuana era stata celata in confezioni sottovuoto tra i ceci e altri legumi. Il legale della società importatrice è stato messo in arresto.

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